Perché il Guatemala ha voluto proprio Ingroia

È stato direttamente il governo del Guatemala, attraverso l’Onu, a chiedere in «prestito» il pm palermitano Antonio Ingroia, per affidargli il coordinamento della lotta al narcotraffico. Incarico che durerà un anno. Ma perché il Guatemala? E perché proprio Ingroia? Molti si chiedevano se si trattasse del classico promoveatur ut amoveatur. O se al contrario sia stato il caso a offrire al magistrato palermitano una provvidenziale via d’uscita dal pantano della sua inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Soprattutto dopo lo «scivolone » sulle intercettazioni di telefonate con il Quirinale, che ha indotto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a sollevare il caso davanti alla Corte costituzionale. Però Ingroia è conosciuto, in Guatemala. E da tempo.

Ci è andato più volte per tenere delle conferenze sul narcotraffico.  L’ultimo viaggio ufficiale, compiuto nel 2011 con Ottavio Sferlazza, un collega di Reggio Calabria, risale all’anno scorso. Ma il rapporto con quell’area è molto più antico, avendo il pm stabilito nel corso di sue inchieste solidi rapporti con diverse magistrature centroamericane (Messico ed El Salvador). Quindi è probabile che, avendolo ascoltato, le autorità guatemalteche ne siano rimaste impressionate. E Ingroia non si è fatto pregare. Quando il Csm si è riunito per concedere il via libera, giovedì 26 luglio, alcuni hanno ironicamente augurato in bocca al lupo al Guatemala. Altri, invece, hanno espresso la loro solidarietà ai pm palermitani rimasti a gestire un processo tra i più delicati della storia giudiziaria: se andrà male, la colpa sarà soltanto loro.

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