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Dannati imballaggi

Dannati imballaggi

La Commissione Ue sta per approvare il nuovo regolamento per il packaging, sempre in nome dell’ambiente. D’ora in poi i contenitori degli alimenti saranno tutti riciclabili, addio alle pratiche confezioni monouso, le bottiglie per bevande (a partire da quelle alcoliche) dovranno essere in materiali standardizzati adatti al riuso. Una decisione che, oltre alla spesa quotidiana, mette in crisi le industrie italiane specializzate in questo (florido) settore.


Probabilmente gli esperti di Bruxelles hanno scarsa dimestichezza con la routine della spesa alimentare, forse pensano che le famiglie abbiano molto tempo a disposizione e possano andare ogni giorno al supermercato, oppure sono convinti che frutta, verdura, ortaggi, nel rifornimento settimanale, siano facilmente trasportabili, sfusi, dentro una borsa di tessuto. È questo il fantastico mondo disegnato dagli ideologici del green che deve aver ispirato il regolamento sugli imballaggi in plastica fortemente sponsorizzato dalla Commissione europea. Nella realtà ideale di Bruxelles non c’è spazio per le confezioni monouso di frutta e verdura sotto 1,5 chili. In un futuro assai prossimo (la direttiva – con le date precise – dovrebbe essere approvata entro l’anno) addio all’insalata in busta, ai cestini delle fragole, alle confezioni di pomodorini e alle arance nelle retine.

Secondo la riforma, in ogni caso, entro il 2030 e il 2040 rispettivamente il 20 e l’80 per cento delle bibite take away dovrà essere venduto in contenitori riutilizzabili. Per quanto riguarda le bevande alcoliche, dal 1° gennaio 2030 il 10 per cento dovrà utilizzare imballaggi inseriti in sistemi di riuso (quindi tutti uguali), soglia che salirà al 25 per cento dal 1° gennaio 2040. Per i vini, tranne gli spumanti, è prevista una soglia del 5 per cento dal 1° gennaio 2030 che arriverà al 15 entro il 1° gennaio 2040. Persino le bottiglie formato Magnum di vino spariranno e saranno ammesse al commercio solo in formati standard a peso ridotto. È evidente che questo comporterà uno stravolgimento delle abitudini. Secondo l’ultimo sondaggio di Unione Italiana Food, i tre quarti degli intervistati acquista questi prodotti regolarmente, il 38 per cento lo fa tutte le settimane. Ma allora come faranno i consumatori? La risposta Bruxelles è implicita: si arrangino, l’importante è salvare il pianeta.

Il problema non è circoscritto agli utenti. A rimetterci saranno in prima battuta le imprese. La riforma colpirà due dei settori del made in Italy con maggiore export. Le vendite di vino sui mercati stranieri hanno sfiorato nel 2022 i 8 milioni di euro in valore, quelle di ortofrutta hanno raggiunto i 5,7 miliardi secondo l’analisi Coldiretti, ai quali si aggiungono altri 4,8 miliardi di ortofrutta trasformata, la più esposta ai cambiamenti in fatto di packaging. «Togliendo le vaschette si potrebbe andare incontro a problemi di conservazione e sprechi. Durante il trasporto i prodotti rischiano di rovinarsi» commenta il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Il regolamento europeo è tanto più ingiustificato se si tiene conto che l’industria italiana del riciclo degli imballaggi ha la leadership in Europa ed è avanti con gli standard richiesti dalla stessa Bruxelles. «Nel 2023 dovremmo raggiungere il 75 per cento di imballaggi riciclati» spiega il presidente di Conai (Consorzio nazionale imballaggi), Luca Ruini. Significa superare di dieci punti percentuali quel 65 per cento che l’Unione Europea chiede ai suoi Stati membri entro il 2025.

Aggiunge in tono provocatorio il direttore di Unionplast, Libero Cantarella: «L’Italia recupera il 95 per cento delle materie plastiche, è mai possibile che il restante 5 per cento possa mandare in crisi la transizione ecologica? Siamo il secondo trasformatore europeo di materie plastiche». Poi avverte: «Nei Paesi in cui non si usano imballaggi, il 50 per cento delle merci va perso. Non ci dimentichiamo del problema dei rifiuti alimentari». Secondo i dati Unionplast, il settore della fabbricazione di imballaggi in plastica coinvolge oltre tremila aziende, circa 50 mila addetti, con un fatturato di 15 miliardi di euro. «L’impatto della nuova normativa si farà sentire lungo tutta la filiera, dai produttori agli utilizzatori. È in gioco un modello di consumo che a Bruxelles non piace più» mette in guardia Cantarella. Per Walter Regis, presidente di Assorimap, l’Associazione dei riciclatori italiani di materie plastiche, «bisognerebbe trovare un punto di equilibrio tra gli obiettivi estremi dell’ambiente e il paradigma dell’economia circolare».

Non c’è solo la plastica. Il Conai ha stimato che quest’anno gli imballaggi sul mercato supereranno i 14,5 milioni di tonnellate. Il Garante delle comunicazioni (l’AgCom) ha contato oltre 961 milioni di pacchi consegnati nel 2021 nelle nostre case e alle imprese. Il cartone ondulato è diventato il re del packaging. Del fenomeno si è occupato anche il New York Times: ha stimato che entro il 2025 la dimensione del mercato globale di questo tipo di imballaggi raggiungerà i 205 miliardi di dollari, pari al Pil della Nuova Zelanda. Nel nostro Paese l’industria di settore fattura 4 miliardi di euro. Nel 2022 sono stati prodotti 4,3 milioni di tonnellate di cartone ondulato, fra fogli e scatole da imballaggio. La quota di mercato principale (il 60,5 per cento) è l’alimentare. Ma anche l’uso della carta, nonostante possa parere la soluzione più sostenibile, non soddisfa appieno gli ambientalisti. Oltre alla forte pressione sulle aree boschive, ricordano che provoca un dispendio idrico considerevole e aggrava il problema legato all’inquinamento degli ecosistemi acquatici, a causa dell’impiego di sostanze chimiche utilizzate per la stampa. Allora che fare? Per gli ortodossi del green, bisognerebbe acquistare prodotti sfusi, oppure servirsi di borse ecologiche per la spesa, o ancora riutilizzare alcuni contenitori allungando il loro ciclo di vita.

La domanda di contenitori a basso impatto ambientale ha spinto la progettazione di packaging realizzati con materiali biodegradabili, compostabili e riciclabili al 100 per cento. Tra le soluzioni più curiose, spiccano gli imballaggi con l’uso di alghe marine, oppure quelli idrosolubili realizzati in alcool polivinilico che si dissolvono a contatto con l’acqua calda. La stampa in 3D consente di modulare il pack intorno al prodotto, riducendo gli sprechi. Spazio poi a materiali a base di cellulosa, cartone d’erba, carta da seme o realizzati usando persino il letame dalle mucca. In alternativa alla plastica tradizionale, c’è quella di mais. Secondo l’Osservatorio Immagino GS1, in un anno sono cresciuti del 5 per cento (il 35,9 per cento del totale della grande distribuzione), i prodotti che indicano sull’etichetta come gestire le confezioni dopo il consumo. Un report di The Business Research Company stima che nel 2022 il mercato globale degli imballaggi riciclabili abbia toccherà 28,3 miliardi di dollari di valore con una crescita del +7,2 per cento rispetto al 2021 e toccherà, nel 2026, quota 34,2 miliardi di dollari. La riforma di Bruxelles non fa altro che «rompere le scatole» al business.

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