No Man's Sky, tra gli alieni di galassie infinite

Per non spegnere un desiderio infantile che gli altri bambini prima o poi abbandonano, Sean Murray ha lasciato una carriera promettente in un colosso dei videogiochi, venduto la casa, fondato un piccolo studio indipendente a mezzora di treno da Londra. Alla fine, dopo una gestazione lunghissima, il sogno di vagare nello spazio di questo 35enne inglese, barbuto e un filo nerd, è diventato una cosmogonia contemporanea: un universo sovrabbondante, a tratti struggente, esplorabile da casa dal computer o dalla PlayStation. L’ha battezzato «No Man’s Sky» (dal 10 agosto su Pc e PS4), l’ha riempito di fantasia e 18 trilioni di pianeti, tutti diversi tra loro, ognuno a suo modo unico. Per le creature che lo popolano, la vegetazione che lo colora, gli oceani che lo bagnano, i deserti che lo assetano.

La sua poesia, risiede nell’enfasi sul senso dell’altrove, sul privilegio di smarrirsi tra le vastità dell’immenso. Come ritrovare un sogno perduto molti anni fa

Qualcosa di molto lontano dalla solita epopea di astronavi dal grilletto facile, piuttosto un percorso soggettivo «denso di finezza artistica e personalità», per riprendere gli elogi del magazine americano The New Yorker che gli ha dedicato un corposo articolo. Perché la creatura digitale di Murray spezza il consueto canovaccio dei videogame dai percorsi obbligati, lasciando il gusto di vagare a casaccio tra le galassie anziché dannarsi a indovinare una direzione.

Lungo questo cammino sospesi tra le stelle si raccolgono e barattano risorse, si stringono alleanze con alieni benevoli, si combattono quelli ostili; s’incrociano giocatori di tutto il mondo, condividendo con loro le istantanee dei panorami scovati nel corso delle proprie esplorazioni. Ma resta un corollario, un sottofondo: l’essenza di «No Man’s Sky», la sua poesia, risiede nell’enfasi sul senso dell’altrove, sul privilegio di smarrirsi tra le vastità dell’immenso. Come ritrovare un sogno perduto molti anni fa.

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