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Lifestyle

Dietro le quinte di Milano-Boston, un team che esporta l'Nba in Europa (e non solo)

In un ufficio di Londra, al numero 125 di Kensigton Street, una settantina di persone pianificano, coordinano ed eseguono l’esportazione dell’Nba in Europa, Africa e Medioriente. A capo del team c’è un “Napoleone” di nome Benjamin Morel, vice presidente e direttore generale della struttura, che si chiama EMEA, dove la lega professionistica americana programma l’espansione del suo brand (e non solo) fuori dai confini: “Come? Ad esempio portando l’Nba in Italia, come successo in occasione della partita dello scorso 6 ottobre tra Olimpia e Celtics a Milano” – spiega Morel–. 

ITALIA Poi ci sono il marketing e la comunicazione, nelle quali si concentrano il 99% delle attività di EMEA che come obiettivo principale di tutti i suoi team di lavoro (merchandise, communication, eventi, sviluppo) ha quello di rendere l’arcinota sagoma di Jerry West un marchio riconosciuto in tutto il mondo. Forse, qualcosa di più. “Potenzialmente potremmo e vorremmo esportare l’Nba in ogni paese del globo, anche se ovviamente vanno valutati tempi e modi. L’Italia in questo senso è nella top tre dei paesi europei sui quali stiamo concentrando i nostri interessi”. La classifica, ovviamente, non viene stilata a caso ma attraverso la continua ricerca e il monitoraggio di parametri di ogni tipo, da quelli tradizionali (tipo la vendita del merchandise) ai "comportamenti", come la percezione del brand e il lifestyle, fino al numero di articoli su giornali e web.

Benjamin Morel, vice presidente e direttore generale di EMEA.

NUMERI 550 mila fan sulla pagina Facebook e 21 anni di passaggi televisivi sulla pay tv (prima tele+, oggi Sky) la dicono lunga sull’interesse degli italiani verso il basket d’Oltreceano e sui guadagni che questo può generare per la lega americana. Ma per Morel non è solo questione di cifre: “I fan italiani sono molto precisi e informati, hanno grande conoscenza delle squadre oltre che dei giocatori (Bryant e James su tutti, ndr) e del lifestyle Nba. Il nostro compito è quello di farli sentire il più vicino possibile al nostro mondo”.

L'NBA IN ITALIA Il massimo della vicinanza sarebbe portare una “vera” partita Nba  – con tutto il rispetto per i Global Games di Milano, che sono e restano un'esibizione.. – sui parquet italiani, come accade con successo a Londra ormai da qualche anno (la prima partita, storica, fu nel 2011). “Il vero problema sono le arene – spiega Morel –.  Al momento solo quelle di Londra e Berlino sono all’altezza dei nostri standard e c’è ancora molto lavoro da fare prima di convincere dei partner italiani a investire nella realizzazione di nuove strutture. Ma ci stiamo lavorando e non nego che sia uno degli obiettivi del futuro prossimo…”. Più difficile, se non impossibile, pensare invece che una squadra del vecchio continente possa un giorno entrare a far parte del lotto delle franchigie NBA: “Non sarebbe fattibile dal punto di vista dei transfert. 41 partite in Europa significherebbero infatti altrettante trasferte intercontinentali..”. 

Il sogno Nba, sebbene sempre più vicino, sembra dunque destinato a rimanere tale. Un sogno nato, secondo Morel, nel 1992 quando per la prima volta i professionisti americani, dopo il benestare dell’allora commissioner David Stern (oggi consulente per EMEA, ndr), scesero in campo un una competizione olimpica: “Ancora oggi è difficile giudicare l'effettivo impatto del Dream Team, soprattutto sulle nuove generazioni. In quel momento è cambiato qualcosa: lì è esploso il fenomeno Nba a livello globale, che forse ha contribuito a far sì che oggi nella lega ci siano oltre 100 giocatori stranieri di cui il 60% provenienti dall’Europa. Quegli stessi giocatori che da bambini guardando Magic, Bird e Jordan in campo insieme a Barcellona hanno cominciato a sognare l’Nba. E da allora non hanno più smesso”.

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