La missione di Mario Draghi

Il 2014 di Mario Draghi ha il sapore del sakè. «Non faremo la fine del Giappone» ripete a ogni piè sospinto il presidente della Banca centrale europea. Ma proprio l’incubo che Eurolandia finisca in una palude fatta di stagnazione produttiva e deflazione (cioè prezzi in calo) non gli permette di mostrare quella serenità e quella fermezza grazie alle quali nel 2012 ha salvato l’euro. La preoccupazione ormai è talmente diffusa da avere fatto breccia anche in Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank che ha votato no alle principali scelte della Bce: l’acquisto di Btp italiani e Bonos spagnoli, il meccanismo salvastati e l’Omt (Outright monetary transactions) che consente di comprare titoli pubblici sul mercato secondario imponendo strette condizioni. I tedeschi hanno fatto muro, ricorrendo persino alla loro corte costituzionale. La sindrome nipponica, tuttavia, ha ammorbidito Weidmann sui tassi d’interesse: quando Draghi, in settembre, ha annunciato che sarebbero rimasti bassi a lungo, e quando poi li ha ridotti allo 0,25 per cento, la Bundesbank si è opposta; adesso però si rende conto che bisogna evitare a tutti i costi la fine del Giappone.

Ma come aggirare l’uso pedagogico della politica monetaria, perno della dottrina tedesca? Non è facile perché il principio «niente premi senza punizioni» viene applicato anche all’unione bancaria, l’appuntamento più importante del 2014 per la Bce. Berlino vuole che le banche a rischio fallimento vengano ripescate facendo pagare non solo gli azionisti, ma anche i risparmiatori, modello Cipro. E le banche dovranno sistemare i loro bilanci e rafforzare i patrimoni. Le accuse che il presidente della Bce si sia inventato l’Omt per salvare l’Italia, venute fuori da fonti irlandesi, non hanno fondamento. E se Angela Merkel nella primavera 2010 avesse capito che bisognava aiutare la Grecia (come poi è stato fatto in ritardo e a prezzi più alti anche sociali e politici), la crisi dei debiti sovrani non sarebbe stata tanto virulenta. La linea Draghi non ha alternative. Se la Buba farà la guerra per rialzare i tassi, si assumerà la responsabilità di una nuova crisi. È già successo nell’estate 1992, quando la lira venne spinta al collasso. Guai se accadesse ancora.

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