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Mendicanti disabili, così funziona il mercato dei nuovi schiavi a Milano

Fantasmi che appaiono ai semafori, per scomparire inghiottiti nelle baracche della periferia nord di Milano. Fantasmi senza nome né dignità, in grado però di fruttare, ciascuno, mille euro al mese. È un business ben rodato quello smantellato, per ora, dalla Polizia locale di Milano. Un anno di indagini, quattro mesi di intercettazioni, dieci vigili impegnati in pedinamenti, controlli, interrogatori. È il racket dei mendicanti disabili che a Milano non conosce crisi. Sempre gestito dal famigerato clan della famiglia Saban, più volte in passato oggetto di indagini e sempre monopolista del mercato degli schiavi nella ricca capitale del nord.


Il racket dei mendicanti a Milano

Dieci arresti, otto persone ricercate all'estero, venti vittime liberate per un bottino da ventimila euro al mese. Sono i numeri dell'inchiesta condotta dal Nucleo tutela donne e minori della Polizia locale, coordinata dal pubblico ministero Pietro Basilone che ha richieste le misure cautelari concesse dal gip Simone Laurenti con l'accusa di tratta e riduzione in schiavitù di esseri umani.

Uomini e donne comprati in Romani e attirati in Italia con la promessa di un lavoro e costretti a mendicare in città. Portati dai paesi più poveri della Romania su furgoni dell'organizzazione, che provvedeva anche ai pasti, distribuiti in loco per non interrompere il flusso di denaro. Le intercettazioni telefoniche svelano un borsino degli schiavi, secondo il quale chi è più menomato vale di più, perché riesce ad impietosire gli automobilisti. E per chi fruttava meno del previsto, la sera, arrivavano pestaggi e torture.

Il denaro veniva poi spedito in Romania, dove gli aguzzini si costruivano ville dotate di ogni confort sulle rive del lago di Costanza. Gli schiavi invece, per anni, hanno vissuto come animali. In baracche di fortuna tirate su nei prati della zona Niguarda e Fulvio Testi. Uomini e donne privati di tutto, anche dell'umanità, come racconta a Panorama.it il commissario Francesco Podini, capo della squadra che ha condotto le indagini. "È difficilissimo avere la collaborazione di queste persone - spiega - perché sembra quasi che non vogliano essere liberate, tanto sono soggiogati anche psicologicamente. Ad uno di loro, strappato dalle mani dei suoi padroni, avevamo offerto di dormire in caserma e avevamo approntato una brandina, al caldo. E invece ha preferito dormire all'aperto, sotto un albero, in cortile".

Che fine faranno ora i disabili liberati? Il Comune di Milano e l'assessorato alle politiche sociali hanno organizzato una rete di recupero e reintegro, appoggiandosi ad una comunità. Ma la maggior parte di loro - che nemmeno parlano l'italiano e non hanno alcun riferimento in Italia - torneranno in Romania. E torneranno, forse, ad alimentare l'esercito di fantasmi claudicanti che appaiono ai semafori delle nostre città.

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