M. Latella. (Rosy Canale) 
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"La mia vita contro la mafia sotto protezione"

Il primo colpo, con il calcio di una pistola, le ha fatto saltare quasi tutti i denti. Una botta fortissima in pieno volto che l’ha tramortita e fatta cadere a terra, subito, come un sacco di patate in uno stato di semi incoscienza. Quello che le è successo dopo lo ricorda poco. Un po’ l’ha ricostruito attraverso le ipotesi dei medici che l’hanno curata nei successivi otto mesi e un po’ grazie a qualche flash di quella maledetta serata che qualche volta le affiora alla mente procurandole ancora oggi, dopo quasi dieci anni, una stretta allo stomaco.

Rosy Canale, una giovane imprenditrice di Reggio Calabria, aveva poco più di 30 anni quando è stata ridotta in fin di vita da un agguato mafioso.

Doveva essere punita, secondo il codice delle ‘ndrine reggine, perché si opponeva allo spaccio di cocaina nel suo locale, il Malaluna.

«Semplicemente – ci racconta – non volevo che si dicesse che mia figlia aveva una madre che si arricchiva perché vendeva droga».

Nonostante ci abbia messo otto mesi a ristabilirsi, Rosy ha deciso di non denunciare i suoi aggressori pur sapendo che, da quel momento, la sua vita sarebbe cambiata radicalmente e che – proprio per non avere denunciato – non avrebbe potuto chiedere un programma di protezione.

«Se avessi sporto denuncia – ci racconta con la voce che a tratti viene ancora rotta dall’emozione – sarebbe stata la fine. Mio padre stesso, che mi è sempre rimasto a fianco anche quando tutti mi hanno voltato le spalle per paura, mi ha detto: Se tu denunci io non posso più aiutarti perché il primo ad essere fatto fuori sarò io».
Rosy aveva due strade davanti: scappare, nascondersi e tentare di dimenticare quell’avventura oppure fare la guerra a quel sistema malato di mafia e omertà. Sceglie la seconda e dopo essersi ristabilita, una convalescenza durata otto mesi, decide di trasferirsi nel cuore della ‘ndrangheta calabrese, a San Luca.

«Avevo perso tutto – ci racconta – non avevo più un lavoro, non avevo amici, non avevo niente. Mia figlia che non mi vedeva da 8 mesi pensava che fossi morta. Ma è proprio da questo che ho trovato la forza di alzare la testa. Mi sono detta: Se quello è l’inferno io vado là. Se vogliono fermarmi mi devono ammazzare».

A San Luca fonda il Movimento delle donne di San Lucache in poco tempo raccoglie i consensi di tutto il paese ancora colpito dalle recenti ferite della strage di Duisburg e dall’assassinio di Maria Strangio.
«Con l’associazione –ci spiega -  abbiamo ridato linfa vitale alle produzioni artigianali locali di lavori, al telaio, ad esempio, intaglio delle pipe, ricami, prodotti enogastronomici. Abbiamo creato posti di lavoro e dato speranza alla gente. Nei locali dell’associazione avviene il miracolo perché si incontrano donne appartenenti a famiglie di fazioni opposte che dialogano mentre per strada neanche si salutano. San Luca mi ha accolta e lì mi sento a casa come mai prima nella mia vita».

Ma le ‘ndrine regginenon potevano tollerare che questa donna piccoletta, piena di vita e di energia, sorridente e in perenne versione tacco 13, alzasse la testa. Disobbedisse. Ignorasse le intimidazioni.
Così le ritorsioni sono diventate sempre più frequenti e sempre più violente e vigliacche. La testa mozzata di un coniglio recapitata per posta il giorno del suo compleanno. L’appostamento di balordi fuori dalla scuola della figlia ormai adolescente, erano episodi ormai quotidiani.

«Quando sono entrati a casa dei miei genitori, gli unici che mi sono rimasti accanto in questi anni, ed hanno preso mia madre per il collo, ho capito che dovevamo andarcene».
Per non avere mai sporto denuncia Rosy non ha potuto richiedere neanche un programma di protezione né che le venisse assegnata alcuna scorta.

«Io non la voglio perché credo nel detto: male non fare paura non avere. Io non ho fatto nulla di male».
Per mettersi in sicurezza, da un paio d’anni si è trasferita a New York con sua figlia e i suoi genitori, sempre accanto a lei.

In questi giorni, questa piccola grande donna dai lunghi capelli rossi e dal sorriso che è un abbraccio caloroso, è tornata in Italia perché è partito il tour teatrale di Malaluna, un monologo, da lei stessa interpretato (prodotto da Bananas, la stessa società che produce Zelig) che racconta la sua storia, quella del movimento delle donne di San Luca e di tante altre persone che come lei hanno avuto il coraggio di opporsi alla mafia e alla cultura mafiosa.

Non vuole essere considerata un’eroina perché, ci spiega «tutti possono dire di no alla mafia. Non bisogna essere straordinari per non soccombere. Io ero una mamma come tante che semplicemente voleva vivere tranquillamente con i proventi del suo locale e non voleva vedere spaccio di droga intorno. Non ho cercato tutto quello che è successo dopo mi è piovuto addosso».

Con Malaluna, Rosy sta girando l’Italia (il debutto al teatro Franco Parenti di Milano è stato un sold out) e raccoglie premi per il suo coraggio. Tra gli altri il premio Borsellino per la legalità che le verrà consegnato in Campidoglio il 7 dicembre. Mentre sarà sempre lei a rappresentare l’Italia alle Nazioni unite il 25 novembre in occasione della giornata mondiale dell’Onu per la lotta contro la violenza sulle donne.
Dietro le quinte, però, certi giorni le prende lo sconforto, la paura perché si sente sola, piccola fragile.

«Ci sono giorni che mi sento combattiva e pronta a tutto – ci confessa – e giorni che invece mi sembra di non farcela ma vado avanti. Ormai ho abbracciato questo cammino e lo porto avanti fino in fondo. E’ una specie di vocazione. Certo fa amarezza vedere che, nonostante le prefetture siano state informate delle tappe del tour e della particolarità della situazione, non abbiano, fino ad ora, mai mandato neanche una volante di ronda a presidio delle serate».

Ps. Ultim'ora. Rosy Canale è stata arrestata per truffa. La donna avrebbe sottratto fondi pubblici comunitari e italiani, erogati per finanziare la sua fondazione antimafia, «Donne di San Luca e della Locride», per fini personali. Centomila euro sarebbe la somma che Rosy Canale avrebbe sottratto alla fondazione, secondo le valutazioni dei magistrati della dda di Reggio Calabria che hanno chiesto l’arresto. La somma sarebbe servita per creare il laboratorio dei saponi artigianali a San Luca ma con quei soldi, hanno scoperto i carabinieri del colonnello Valerio, sono stati acquistate solo poche saponette.

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