Lutti 2.0

Come avrete già appreso stamattina da qualsiasi parte di internet, e come ci si aspettava dopo qualche giorno di coma irreversibile, è morto Eduard Anatol’evič Khil; la cui corretta traslitterazione, peraltro, almeno per quel poco che so del russo, sarebbe forse dovuta essere Chil’, ma la notorietà raggiunta in ambiti strettamente anglofoni e anglolalici lo aveva inchiodato da subito a quell’orrendo “Kh”.

Dopo un’onesta ma ormai terminata carriera da cantante in Unione Sovietica, era diventato famoso a livello mondiale per via di un meme (concetto, questo, che mi rifiuto di definire; persone più capaci di me sono cadute nel tentativo) tra i più noti, virali e virulenti. Come diversi altri artisti prima di lui, Chil’ doveva in un certo senso la propria gloria all’ottusità della censura comunista, che aveva proibito il testo troppo americaneggiante di una sua canzone, divenuto perciò un assurdo e infinito vocalizzo; e proprio quel “trololololol” apparentemente insensato l’aveva portato infine alla fama internazionale negli ultimi anni.

Eventuali, possibili ragionamenti sul significato di un meme e sul legame fra opera originale e suo utilizzo nella rete sarebbero troppo pretenziosi e fuori luogo per essere anche seri. Basti dire perciò che Eduard Chil’ è stato l’uomo che ha portato il pop sovietico nell’era di Internet: impresa, a mio modo di vedere, non trascurabile sotto nessun punto di vista.

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