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L'unico modo per combattere la corruzione

Contro la corruzione non servono inasprimenti delle pene (quelli, in realtà, non servono contro nessun reato), né allungamenti della prescrizione. L'unica via per uscirne è spezzare la complicità fra il corruttore e il corrotto. Lo dicono i magistrati più competenti, lo confermano i penalisti più avveduti.

Il mezzo? Forse cinico, ma molto pragmatico: Si chiama "sistema premiale": abbassare le pene per il privato che corrompe il pubblico funzionario, fino a renderlo addirittura impunibile: ogni pubblico ufficiale corrotto dovrebbe temere di avere davanti a sé un potenziale delatore. Questo è l'unico sistema che di sicuro disincentiverebbe il fenomeno. 

Invece il governo Renzi crede oggi di reprimere lo scandalo montante della corruzione adottando pene più dure, esattamente come aveva fatto in un recente passato il governo Monti: la legge Severino dal dicembre 2011 ha aggravato la posizione di chi viene indotto a pagare, il cosiddetto «concusso per induzione».

C’è chi obietta che premiare il corruttore non è etico né estetico. Ma in passato si è fatto altrettanto in due settori non meno problematici: con i collaboratori di giustizia contro la mafia, e con i pentiti contro il terrorismo. In questi due campi, spesso lo Stato ha deciso di «premiare» con la non punibilità non chi aveva pagato una mazzetta, ma chi aveva ucciso e perfino chi aveva sciolto bambini nell’acido. E il sistema ha funzionato piuttosto bene.

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