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Lucio Magri: un manifesto contro l’ipocrisia italiana

Lucio Magri in una foto d'archivio del 1981 (Ansa)

di Annalisa Chirico

Un tempo la sinistra era laica. Un tempo la sinistra si batteva per l’emancipazione della persona, per i diritti e le opportunità. Indipendentemente dalla classe sociale d’appartenenza. Anche in barba ai dettami della Chiesa e contro le pretese intrusive di uno Stato autoritario. Un tempo c’erano la rivolta, il lessico della “liberazione”, la liturgia dell’autodeterminazione. Quel tempo è durato un battito di ciglia. Le uniche vere riforme laiche risalgono, con ogni probabilità, alla Destra storica e alle famigerate leggi Siccardi. Il Pci più catecumenale della Dc. La sferzata edonistica del Psi spazzata via dalla melma compromissoria dell’accordo di Villa Madama.

Lo Zapatero italiano non c’è e non c’è mai stato. Questa sinistra non lo immagina neppure. Basta piazzare qua e là un omosessuale per dar prova delle magnifiche sorti e progressive del riformismo italiano. La “primavera dei diritti”, la sensibilità verso “il diverso”. Insomma, come le scimmie allo zoo.

Il caso di Lucio Magri è diverso da quello di Mario Monicelli. Le ricostruzioni inevitabilmente ardite sulle ragioni profonde di un suicidio le lascio ai moderni vati. La tentazione di dar voce a chi voce non ha più non mi appartiene. Tuttavia, il caso di Lucio Magri è diverso perché c’è il fatto, che non richiede elucubrazione. Magri è esiliato in Svizzera per avere accesso a una pratica, quella del suicidio assistito, che in Italia non è consentita. Il giornalista “ribelle” si è ribellato fino all’ultimo. Si è congedato dalla vita terrena lasciandoci in dono un altro “manifesto”. Un manifesto alla libertà inviolabile di chi sceglie di porre fine a una vita, che non sente più degna di essere vissuta. Perché il metro della dignità è personalissimo e insondabile. Un manifesto alla coltre spessa dell’ipocrisia italiana, dove si fa ma non si dice. Dove tutto è sepolto sotto la sabbia omertosa del proibito.

Il caso di Lucio Magri parla da sé. Non ha bisogno della nostra voce, e probabilmente farebbe a meno dei tributi rituali da parte di quei “compagni”, che da sinistra corrono ad omaggiarlo senza spendere una, una sola parola sul messaggio della sua scelta estrema. Pavidi di professione. La “sinistra” è servita.

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