La vittoria più bella? Contro il razzismo

Accade sempre più spesso: lo spettacolo del calcio giocato è costretto a farsi da parte per lasciare spazio a un fenomeno che sembra non voler abbandonare i nostri stadi, ovvero il razzismo. Un diverso colore della pelle rappresenta ancora motivo di scherno, una giustificazione agli indecorosi spettacoli cui una parte di coloro che si definiscono “tifosi” - o, ancor più assurdamente, sportivi - si dedica con sistematica e disarmante ignoranza.

I recenti episodi dimostrano che se c'è un elemento su cui non si fa alcuna differenza, è il contesto: Serie A, Serie B, Championship inglese (vedi caso Bellusci nella Serie B anglosassone), persino in una partita di Esordienti avviene che un bambino di undici anni venga espulso e squalificato per insulti razzisti nei confronti dell’arbitro, seguito da un analogo caso che ha per protagonista un diciassettenne. Tutto solo questa settimana.

Il calcio unisce da sempre milioni di persone, accomunate dalla passione per uno sport che più di altri ha una funzione non solo ludica, ma anche sociale e culturale. Per questo motivo è proprio dal mondo del pallone che deve arrivare il primo e più concreto esempio di lealtà e rispetto della diversità, sia essa nei colori della maglia come in quello della pelle o nelle origini etniche.

Accanirsi contro i giocatori di colore per sfogare la frustrazione di una sconfitta è il sintomo tangibile di una società che fa ancora fatica ad accettare la diversità come fattore primario di integrazione e crescita morale, un vizio etico sul quale tutti siamo chiamati a intervenire per condannare senza remore un atteggiamento che penalizza, spesso, anche i sostenitori corretti e rispettosi, mettendo in cattiva luce un’intera comunità. Per non parlare di ciò che comporta, per una società sportiva, una sanzione per manifestazioni razziste da parte della propria tifoseria: intendo in termini di immagine e di credibilità, prima ancora che economici.

Nella rosa della Virtus c’è un giovane senegalese, il ventiduenne Mame Thiam, che si è integrato perfettamente nel gruppo dopo essere arrivato l’anno scorso a Lanciano. La squadra e la città intera lo hanno accolto con gioia e rispetto fin dal primo giorno, prima come persona e poi come calciatore. Ritengo che il rapporto che si è instaurato tra la comunità lancianese e il nostro “Maminho” possa rappresentare un autentico esempio di civiltà e apertura, poiché imparare a convivere in un contesto multietnico all’interno della propria realtà “amica” vuol dire sapere confrontarsi con la diversità in tutti i contesti della vita, non solo nello sport.

Abbattere il razzismo nel calcio costituisce una vittoria che vale molto più dei tre punti ottenuti sul campo.

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