L’Imu alla resa dei conti, ma i conti non tornano

“Sì la tolgo, no la tengo, allora rinvio”: sull’Imu si va avanti così dal primo giorno di governo. E’ mai possibile si chiede in un tweet Valerio De Molli, managing partner The European House-Ambrosetti. Ha perfettamente ragione. Sulla Stampa, Luca Ricolfi in un editoriale-lettera aperta, chiede al Presidente del Consiglio un colpo di reni che lo faccia uscire da questo frustrante temporeggiare. E l’occasione non può che essere la politica fiscale.

Il ministero dell’Economia, dipartimento delle finanze ha pubblicato sotto Ferragosto un documento di un centinaio di pagine nel quale elenca in modo puntuale, anzi puntiglioso, ben nove ipotesi di intervento con numerose varianti. Ben fatto, ma il governo non può servire a tavola le pietanze dicendo scegliete voi. Il Pd presenta una sua proposta che non abolisce del tutto l’Imu sulla prima casa, ma la ricalibra in funzione del reddito (si inserisce all’interno della terza ipotesi paragrafo 2 e 3 prevista dai tecnici di Fabrizio Saccomanni). Una idea che trova contrari non solo i rappresentanti del Pdl, ma anche gli amministratori locali, compresi quelli del Pd. Tre di loro che sono anche noti professori di scienza delle finanze, cioè Silvia Giannini di Bologna, Luigi Marattin di Ferrara e il fiorentino Alessandro Pretetto, sostengono che l’Imu va inserita dentro una imposta federalista o service tax (ipotesi 8 del documento governativo). Anche qui ci sono dettagli e caveat per indorare la pillola. Un punto controverso è se debbano pagare anche gli inquilini visto che riguarda i servizi ricevuti; un altro è quale rapporto si crea con la Tares sui rifiuti. Ma la domanda di fondo resta: con il nuovo sistema, si pagherà di più o di meno? Tra addizionali comunali, moltiplicatori catastali e via discorrendo, il sospetto è che sia più costoso riformare che non fare nulla.

Dunque, grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente a differenza da quel che predicava il libretto rosso del presidente Mao. Aggiungiamo che per trovare i 4 miliardi necessari a coprire il buco nel gettito, si pensa di rincarare accise, gabelle e imposte indirette (sui giochi, sull’alcool), mentre sembra ormai scontato l’aumento di un punto dell’Iva. Tutto ciò fa uscire dalle tasche dei contribuenti buona parte di quel che entra senza l’Imu sulla prima casa.

Il problema di fondo per gli italiani, oggi, è ridurre il peso dei tributi, la pressione fiscale che schiaccia il reddito, comprime la domanda per consumi e investimenti, aumenta l’incertezza e scoraggia gli affari. Lo dice la Banca d’Italia e recentemente lo ha ripetuto anche il direttore generale Salvatore Rossi al meeting di Rimini. Proprio qui, invece, il governo mostra la sua debolezza maggiore: allo stato attuale non è dato capire se ha una politica fiscale. L’esecutivo, intendiamo, non la maggioranza.

Letta può obiettare che esistono due impostazioni contrapposte: meno tasse su tutti come vuole il Pdl e l’imposizione progressiva del Pd. Vero. Ma il presidente del Consiglio che idea ha? E il ministro dell’economia? E il governo nel suo insieme? Perché non detta lui l’agenda, presentando una proposta di più ampio respiro sulla quale far discutere i partiti? Domanda ingenua visto il ristrettissimo orizzonte di questo esperimento che appare agli sgoccioli un giorno sì uno no? Al contrario. Cadere in piedi è sempre meglio che farsi cuocere a fuoco lento da falchi, colombe, lupi e caproni. E non è poi detto che cada.

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