Torino, 9 dicembre 2013
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Le mille anime dei Forconi

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«Non vedete che tutta la gente è incazzata? Le persone si danno fuoco. È dovere dei politici conoscere i problemi dell’Italia. Voi dovete mettere avanti il bene del Paese e non mettervi a litigare».

Queste sono le parole affidate poco tempo fa a Panorama.it da un signore che una recente perizia psichiatrica ha definito tutt’altro che pazzo. Un uomo che il 28 aprile scorso si è presentato davanti a Palazzo Chigi con l’intenzione di sparare a un politico e che poi, siccome i membri del governo erano tutti impegnati al Quirinale per il giuramento del nascente governo Letta, ha pensato bene di sparare contro i carabinieri, ritenuti evidentemente anche loro rappresentanti delle istituzioni e dunque degni di ricevere una pallottola.

Se colleghiamo quello che è successo davanti a Palazzo Chigi quel giorno e quello che è successo ieri in tutta Italia, ma in particolare a Torino, forse riusciamo a cogliere il nesso che lega tutte le anime del conflitto sociale nell’Italia contemporanea. Il nostro Paese, lo sappiamo bene, non è estraneo a fenomeni di ribellismo diffuso e neanche al terrorismo, ma tra quello che è successo per tutto il secolo scorso e il fenomeno che sta crescendo oggi sotto l’epidermide, ci sono differenze abissali.

Tutti i movimenti antagonisti e terroristi che abbiamo visto all’opera durante la seconda metà del Novecento avevano un retroterra ideologico preciso e possedevano strategie, seppur ultra-radicali, però sempre riconducibili a linee politiche ben identificate: neofascisti, brigatisti, autonomi, erano tutti inquadrabili non soltanto nelle tensioni che dividevano la società italiana, ma potevano addirittura essere riconducibili agli equilibri più ampi della Guerra Fredda. Negli ultimi anni, invece, in Italia le ideologie si sono fatte evanescenti e il pensiero politico ha perso qualsiasi riferimento culturale e filosofico.

Stamattina in molte cronache che discettano sulla protesta dei Forconi, si parla di una “Babele di linguaggi”. Niente di più sbagliato. Babele è sinonimo di confusione linguistica, mentre ieri a Torino è successo proprio il contrario. C’era sì una confusione di bandiere tricolori, bandiere rosse e post comuniste, e vessilli con la A di Anarchia, ma c’era soprattutto una sorprendente uniformità di linguaggio. L’opposto appunto della Babele delle cronache. Un esempio? “Politici, amministratori e sindacati, ladri legalizzati” era lo slogan che ieri è stato fatto proprio da un’unica Babele, quella sì, di gruppi e di persone: anarchici del centro Askatasuna, neofascisti di Casapound, ultrà del Torino e della Juventus, insieme a pensionati, commercianti, impiegati, studenti, operai e piccoli imprenditori.

Un sintomo inequivocabile della gravità della patologia sociale che rischia di distruggere il nostro Paese, è dato inoltre dal gesto di quei poliziotti, carabinieri e finanzieri che ieri a Piazza Castello si sono spontaneamente tolti il casco di fronte ai dimostranti, dicendo “siete poveri come noi, come noi senza speranza”. Neppure Beppe Grillo con i suoi Vaffa Day è riuscito a raccogliere intorno a un unico slogan tante anime diverse e, sotto il profilo della lotta di classe, addirittura ‘nemiche’.

Quello che è andato in scena ieri a Torino - ma si potrebbe avverare in molte altre parti d’Italia - non è soltanto il sintomo del malessere economico che attanaglia il nostro Paese, ma è piuttosto il segnale preoccupante (e che dovrebbe far temere la Casta) che la soglia di tolleranza nei confronti di questa classe politica, che ormai viene percepita più simile allo sceriffo di Nottingham che a una classe di governanti, ha raggiunto livelli pericolosamente bassi.

Quando Luigi Preiti ha sparato davanti a Palazzo Chigi, la reazione della politica qual è stata? Aumentare le scorte. Mentre nulla è stato fatto ancora per diminuire realmente i costi della politica e il peso della burocrazia sulla vita quotidiana dei cittadini italiani. Non è stato aggiunto neanche un vagone ai treni dei pendolari né si è fatto alcun passo in avanti per gli imprenditori. Se la reazione dopo Torino sarà ancora quella miope di aumentare le scorte, ne vedremo davvero delle belle.

Non c’è neanche bisogno di temere che adesso qualche “grande vecchio” tenti di strumentalizzare le rivolte, come piace pensare ai dietrologi. Può essere sufficiente una raffica di lettere di Equitalia o qualche ulteriore gabella o accisa o un’ennesima tassa dal nome esotico, per incendiare la prateria sociale italiana, nella quale la maggioranza che si appresta a diventare rumorosa potrebbe non tollerare più il malgoverno e decidere di saldarsi secondo forme anche apertamente eversive.

Quello di ieri, insomma, è un segnale che va raccolto e analizzato prima che una Legge di Stabilità che non riesce a trovare risorse per rilanciare quella che era la settima economia mondiale e che oggi è il malato d’Europa, s’incendi spontaneamente con un legame che metterà insieme gli occasionali Luigi Preiti a quei poliziotti che ieri si sono addirittura tolti il casco.

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