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Chris McGrath/Getty Images
Economia

Le conseguenze economiche del referendum in Turchia

La congiuntura politica in Turchia è gravida di incertezze e l'ultimo referendum costituzionale, bollato come irregolare dall'OSCE, sembra aver confermato come il Paese si sia ormai avviato verso una sempre più evidente deriva autoritaria. Una situazione difficile, che non mancherà di avere ripercussioni anche sull'economia.

La posizione attendista degli investitori internazionali

La Turchia è passata dall'essere una nazione molto attraente per gli investitori internazionali a un luogo dove muoversi con la massima cautela. Già dal 2007 al 2015, peraltro, gli investimenti esteri sono calati da 22 a 18 miliardi di dollari. Le multinazionali della finanza sembrano aver optato per una strategia attendista. Come ha dichiarato alla CNN Kit Juckes di Société Générale, tutti gli esperti dei mercati emergenti sono impazienti di capire quali cambiamenti nella politica Erdogan imprimerà al Paese. Il passaggio fondamentale saranno le elezioni, che sono previste per il 2019 e che sanciranno l'accentramento di tutti i poteri nelle sue mani (sempre che ottenga la maggioranza dei voti), ma prima di allora Erdogan dovrà affrontare alcune sfide cruciali.

Le sfide economiche per Erdogan

Innanzitutto, dovrà dimostrare di essere ancora capace di garantire una crescita sostenuta. Nei quindici anni dal suo avvento, il leader turco ha impresso un'accelerata all'economia, con risultati sorprendenti: basti pensare che le persone sotto la soglia di povertà sono passate dal 23% al 2%. Tuttavia, i segnali di rallentamento sono molti e le previsioni per il futuro poco incoraggianti.

La Turchia contesa tra Russia e Unione Europea

Cruciale, poi, saranno le mosse che Erdogan farà nei confronti dell'Unione Europea, a cui l'adesione della Turchia sembra ormai rinviata sine die, e della Russia, con cui è in atto una difficilissima partita diplomatica. Da un lato, allontanarsi dall'UE non significa soltanto allontanarsi dai suoi valori di democrazia e Stato di diritto, ma anche dai benefici del mercato comune; dall'altro, il dialogo tra Ankara e Mosca non verte solamente sulle questioni di sicurezza e sul conflitto siriano, ma anche sul delicato tema dell'approvvigionamento energetico, visto che la Russia fornisce il 12% del petrolio e il 55% del gas naturale necessario alle imprese turche. Se questi nodi rimarranno irrisolti, difficilmente la Turchia potrà mantenere intatta la sua capacità di attirare investimenti. E la sua economia continuerà a rallentare.

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