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La riforma del Csm e la trasparenza: che bufala!

La stanno già celebrando come una «rivoluzione», un passo fondamentale, la grande svolta per la trasparenza. La Repubblica ha scomodato addirittura la «glasnost» di Michail Gorbaciov. La riforma del regolamento del Consiglio superiore della magistratura, approvata ieri dal plenum del Csm stesso, stabilisce che basti la richiesta di due dei sei membri di ogni commissione perché le sue sedute avvengano in pubblico. Giovanni Legnini, che del Csm è vicepresidente, sostiene che questo «trasforma Palazzo dei marescialli in una casa di vetro».

L’entusiasmo è probabilmente malriposto, ed eccessivo.

Perché è vero che in due commissioni (in particolare la terza e la quinta, dove si stabiliscono le promozioni e le nomine al vertice degli uffici giudiziari) ora anche la stampa potrà seguire i lavori e cercare di capire le ragioni per cui il Csm trasferisce un magistrato oppure no, e nomina un nuovo procuratore capo invece di un altro.

Ma è vero, soprattutto, che i "maneggi correntizi" avvengono a monte del Csm: molto prima di approdare in commissione e poi al plenum. E quindi ben poco cambierà.

Vediamo di scomporre il meccanismo.

I circa novemila magistrati si dividono, grosso modo, in cinque correnti. Due sono di sinistra: Magistratura democratica, fondata nel 1964 all’ombra del Pci, e Movimento per la giustizia, nato come cartello elettorale tra due gruppi di sinistra, i Verdi e Articolo 3. Altre due sono genericamente centriste: Unità per la Costituzione e Magistratura indipendente. Poi c’è l’ultima nata, Autonomia e indipendenza, che ha Piercamillo Davigo tra i suoi fondatori e ha connotazioni più sindacal-corporativistiche.

Un magistrato che decida di stare fuori da uno di questi "partiti giudiziari" è svantaggiato in tutto. Certo fa carriera, visto che questa è praticamente automatica grazie a due leggi del 1966 e del 1973: chiunque passi l’esame di Stato, sa che gli basterà sopravvivere qualche decennio per ottenere lo stipendio di un presidente di Corte di cassazione. Ma pochi ne avranno effettivamente il ruolo, e di certo chi non fa parte di una delle correnti troverà molto difficile entrare nel mercato che organizzano tra di loro e poi celebrano nel Csm: io voto il tuo candidato a quel determinato ufficio, se però tu voti il mio per quell’altro; io aiuto il tuo magistrato a non essere colpito dalla punizione (che magari merita), ma ovviamente tu aiuti il mio.

Da troppi anni funziona così, e a nulla servirà la riforma del regolamento del Csm.

Un giudice lombardo, un "senza corrente" che tiene al suo anonimato come alla vita, spiega bene come funziona il mercato cui inutilmente oggi si cerca di porre rimedio, denunciando quello che è il vero disastro della giustizia italiana. Il giudice fa questo esempio: un certo pubblico ministero è impegnato a sostenere l’accusa in un importante procedimento davanti a un certo giudice o a una certa corte. Mettiamo che il pm sia della corrente A, e il giudice (o il presidente della corte) appartenga alla corrente B. Si avvicina la sentenza e il pm tiene al risultato, com’è giusto. A quel punto parte un gioco sommerso di telefonate, pressioni, segnalazioni, intercessioni...

Accade perfino che delegazioni di corrente si spingano a contattare il giudice di persona. Gli viene sottolineato che la corrente A è fondamentale per ottenere una certa promozione che la corrente B ha chiesto per un "suo" magistrato. E gli si fa capire che, se la sentenza sarà negativa per il pm, è probabile che al Csm i suoi amici di A non saranno molto disponibili ad allinearsi.

Ovviamente il giudice è libero di agire come crede. Resta il fatto che dire No alla corrente cui ha affidato il suo destino professionale è praticamente impossibile: sono pochi i giudici insensibili alle lusinghe dell’ambizione. Ma statene certi: di tutto questo, nelle commissioni del Csm, non trapelerà mai nulla. Mai.

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