La mattanza sulle strade italiane

Cinquecento sinistri al giorno, trenta feriti ogni ora. Le strade italiane sono veri e propri autoscontri a cielo aperto. Se nel 2013 la media europea degli incidenti mortali è calata dell’8%, all’Italia purtroppo spetta un triste primato: il 7% in più rispetto al resto d’Europa. Una mattanza, quella consumata sull’asfalto, che coinvolge sempre più minori. Nel primo semestre del 2014 è già di 26 il numero dei bambini deceduti su aree urbane e reti autostradali. Tra gli ultimi casi vi è quello del piccolo bolognese travolto mentre attendeva il bus con la mamma e, nel Reggiano, il bambino di 6 anni preso in pieno da un’auto mentre attraversava le strisce pedonali.

Incidenti violenti, vite spezzate a causa dell’imprudenza. Famiglie distrutte dal dolore con il quale convivere per sempre. Come quello di Marina Fontana che, un anno fa, nella notte tra il 26 e il 27 luglio ha perso sulla A1 il suo Roberto. “Quello schianto – ricorda la 46enne palermitana – ha cambiato per sempre il corso del mio destino. Con mio marito eravamo partiti da Milano, città in cui abitavamo, per raggiungere la Sicilia. Approfittavamo delle vacanze estive per trascorrere del tempo in famiglia. Il viaggio procedeva tranquillamente anche se, vedere certi Tir sfrecciare in piena autostrada, un po’ mi allarmava. Roberto era, comunque, sempre pronto a tranquillizzarmi ricordandomi quanto la sua guida fosse prudente”. Questi gli ultimi attimi prima del fatale impatto mentre erano in coda al km 260 tra Rioveggio e Barberino.

“Dopo – continua Marina – il vuoto. Ricordo solo che c’era sangue dappertutto, sentivo il mio corpo a pezzi prima di svenire e ritrovarmi all’ospedale Careggi di Firenze. Io ero ferita gravemente per via delle molteplici fratture riportate, mio marito in coma. Dodici lunghe ore prima che fosse dichiarata la sua morte cerebrale. Nessuno è pronto a tanto dolore. L’unico gesto spontaneo è stato quello di acconsentire alla donazione degli organi, consapevole che anche Roberto avrebbe appoggiato la mia scelta. Sola, in quella barella, guardandolo sentivo che mi stava suggerendo di donare amore”.

Ed è stato l’amore a “salvare” Marina dalla rete della disperazione. “Ho imparato – afferma - a trasformare le lacrime in forza e dignità. La vita spesso ti mette di fronte a dolori terribili, ma tu puoi e devi rimetterti in piedi. Lo devi a te stesso, alle persone che purtroppo hai perduto e anche a chi è sempre al tuo fianco. Quel Tir impazzito che ha travolto la nostra auto ha rubato il nostro futuro. Eravamo sposati solo da un anno, volevamo un figlio ed invecchiare insieme. Nonostante tutto sto cercando di andare avanti. Continuo le cure mediche e lotto per tenere fede alle promesse scambiate con mio marito”.

Se c’è un cosa che Marina ha capito da quest’esperienza è che non ha senso rimanere spettatori rassegnati di una morte “ingiusta”. “Devi lottare – spiega - devi donarti, buttare il cuore oltre l’ostacolo e trasformare il dolore in occasione di crescita. Devi metterti a disposizione degli altri, spiegando che queste tragedie si possono e si devono evitare. Mio marito è vittima di un omicidio stradale".

Dopo l’incidente, Marina ha cercato di raccontare la sua storia.

“Ho scritto al presidente della Repubblica – continua - al Santo Padre, al presidente della Camera, del Senato e, in questi ultimi mesi, anche a Matteo Renzi. Non smetterò mai di gridare il mio dolore, di dire che i familiari delle vittime della strada non sono figli di un dio minore. Chi ha ucciso è libero di vivere la sua vita..., ancora in attesa che la giustizia italiana lo rinvii a giudizio.E con questo... penso di aver detto tutto.In questa nostra Italia ci tocca ancora essere accusati di volere vendetta solo perché chiediamo che ci sia una norma in grado di dare pene certe a chi uccide un innocente con una guida scostumata. Laddove forse mai esisterà un ergastolo della patente per chi commette un omicidio stradale, rimane invece l'ergastolo del dolore per chi subisce. La mia lotta non mi ridarà mio marito ma mi consentirà di credere che una legge aiuterà a punire e a rieducare chi sbaglia macchiandosi di questi delitti”. Ma che fine ha fatto l’uomo che ha strappato per sempre Roberto a Marina? Avrà mai provato, almeno, a chiederle scusa? “No – conclude - È un autista turco che guidava sprovvisto di carta verde, vale a dire di assicurazione, nonostante fosse stato controllato alla frontiera. Lui è tornato in Turchia, vive libero e in tutti questi mesi non ha mai sentito la voglia di sapere come stiamo, di dire “mi dispiace”. Se una vecchietta, per fame, ruba qualcosa e viene colta in fragranza di reato va in prigione, se uccidi per alta velocità e distrazione resti libero. Dopo un anno, finalmente, qualche giorno fa nell’udienza fissata per il deposito della notifica di citazione ai responsabili civili, è stato rinviato a giudizio. La prossima è fissata a gennaio 2015. Voglio crederci. Devo crederci, ma quanto dolore”.

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