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... La chiave della felicità esiste?

Leggo le mail e mi capita sotto gli occhi ciò che mi ha scritto Francesca. La nostra amica mi fa una domanda che credo abbia il potere di far trasalire quasi ogni psicologo: “dottore, ma come si fa ad essere veramente in armonia con se stessi?”

Credo che questa domanda se la faccia ogni essere umano … e sinceramente non è facile rispondere … ma vedo di fornire (senza pretese di cambiare la vita a nessuno) qualche spunto di riflessione. Partiamo dalla prospettiva opposta: cos’è che ci rende in uno stato di non-equilibrio?

Credo che uno spunto valido di riflessione provenga dal semplice concetto di ego-sintonia. L’egosintonia non è un super potere … è piuttosto la nostra capacità di mantenere una coerenza interna. Quando, ad esempio, un nostro comportamento non è in linea con i nostri desideri (chiamiamoli i bisogni dell’io) posso definirmi egodistonico. Facciamo un esempio: sono un simpatico frugoletto figlio unico, ad un certo punto esce dalla pancia di mamma un altro frugoletto che fa cacca ovunque e fa i versi che farebbe un Pokemon sotto l’effetto di anfetamine. Prima ero al centro dell’attenzione – ora vengo solo redarguito! Reazione: vorrei tirare il collo al nuovo arrivato. Mamma e babbo mi dicono tuttavia che il mostro che urla e fa cacca è il mio fratellino e devo volergli bene. Io mi adeguo (vuoi vedere che sennò i miei non mi vogliono più bene?) e gli faccio coccole e gli accarezzo quella testa che vorrei in realtà mettere sotto la credenza in salotto. Il risentimento che provo è in netta contraddizione con i miei comportamenti quindi, non sono coerente con me stesso.

L’esempio appena riportato è comprensibile sotto molti punti di vista (i genitori in buona fede cercano di ridurre i rischi di teste sotto le credenze) ma pone le basi per costruire una ego-distonia poco simpatica per la psiche. Il bimbo arriva alla conclusione che la sua emozione di rabbia verso il mostriciattolo sia sbagliata! Così facendo comincia a diseducare se stesso alle sue emozioni … (Devo amarlo per forza!) Non sempre da parte dei genitori (occupati a pulire culetti del nuovo bebè e alzarsi la notte) c’è la possibilità di empatizzare col primogenito, che quindi sopprime alcune sue emozioni o le converte in altre. Sottolineo che empatizzare non significa dare torto o ragione al bambino geloso, significa semplicemente (si fa per dire) mettersi in contatto con le sue emozioni di rabbia e risentimento; aiutarlo insomma a capire che non è messo in secondo piano e che la sua paura e la sua rabbia sono accolte … che molte cose sono cambiate, fuorché l’amore che i genitori provano per lui.     

Anche negli adolescenti le trappole dell’egodistonia sono all’angolo. Capita infatti in molte situazioni che venga scoraggiata l’autentica espressione delle emozioni. Mi riferisco ad esempio a quelle correnti culturali che sostengono a gran voce quanto siano illegittime certe emozioni spontanee. In molti casi ho visto genitori scoraggiare adolescenti ad esprimere certe emozioni con frasi del tipo: “non piangere, sennò diventi brutta!” o nel caso di maschi “piangono solo le mammolette!”. In molte circostanze vengono inoltre incoraggiate certe emozioni che non sono spontanee (nel caso delle femmine la rabbia è proibita mentre l’ansia è legittimata, o nel caso di maschi, è la paura ad essere sbagliata … meglio sostituirla con la rabbia, che è legittimata … e talvolta incoraggiata!)

Anche da adulti non sempre è possibile essere del tutto spontanei. In certe situazioni il contesto culturale impone emozioni a discapito di altre! … E se non sei affatto dispiaciuto che un collega stronzo e incompetente venga licenziato sei a volte guardato un po’ storto. Anche nella dimensione lavorativa non è facile essere sempre coerenti a se stessi. Risulta infatti da molti studi che fare un lavoro che non ci piace (non corrisponde ai nostri desideri e alle nostre naturali inclinazioni) richieda molte energie ... e quando queste risorse terminano subentra uno stato di malessere.

Molti miei pazienti provano una sensazione di appesantimento e frustrazione determinata da un lavoro che non piace loro. Ma a cosa servono le emozioni? Perché hanno il potere di incasinarci tanto? Le emozioni ci informano su cosa sta accadendo e su come sarebbe opportuno agire (la spinta all’azione per prendere le distanze da ciò che è vissuto come “tossico”).

Parlandoci chiaramente: allontanarci da quelle che sono le nostre esigenze e i nostri bisogni ci rende infelici.

Le sciocchezze che possiamo fare con le nostre emozioni sono molte del tipo:

-          Privilegiare  l’approccio vulcaniano (reprimerle e far finta che non esistano)

-          Possiamo convertirle in altre emozioni (ad esempio trasformare la paura in rabbia ecc.)

-          Possiamo anche agire comportamenti connessi a emozioni sociali “accettabili” (lacrime ai funerali … o ai matrimoni)  anche se il nostro coinvolgimento emotivo nella faccenda è prossimo allo zero assoluto

… tutte queste strategie non faranno altro che allontanarci … da noi stessi. A costo di ripetermi: le emozioni ci mettono in contatto con i nostri desideri … se le perdiamo di vista perdiamo di vista ciò di cui abbiamo bisogno … e non sarà facile essere soddisfatti della nostra vita!

Cara Francesca, chiedo spesso ai miei pazienti quando affrontano le vicissitudini della loro vita, dove essi siano veramente … sembra una domanda strana - lo ammetto - ma a volte, nella nostra vita, siamo tanto lontani da noi stessi … e ciò ci rende infelici

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