Iri, vi presento la nuova imposta unica sul reddito delle imprese

La solita vecchia Iri? Niente affatto. Qui l’Istituto di ricostruzione industriale voluto nel 1933 niente poco di meno che dal Duce e chiuso tra mille polemiche nel 2002 non c’entra nulla. Qui c’è in ballo una Iri nuova di zecca e voluta a tutti i costi dall’attuale Governo. Sta per imposta sul reddito imprenditoriale ed è una delle tante trovate del decreto fiscale varato nella serata di lunedì 16 marzo.

In soldoni: è una imposta unica sul reddito messa a segno da imprese o professionisti. A quanto ammonta? Ancora non è dato saperlo. Ma l’aliquota più quotata pare sia quella del 27,5%. Al pari dell’attuale Ires che sarebbe dovuta andare in pensione ma non ci andrà. Motivo? L’Iri, a sorpresa, non opererà in regime esclusivo.

O meglio: sarà l’imprenditore, avvocato o comunque il titolare dell’impresa a decidere se tassare il reddito aziendale separatamente da quello personale e dunque di aderirvi o meno. In base alla convenienza.

Con l’Iri i Monti boys puntano a incentivare il reinvestimento degli utili. In altre parole: vorrebbero che il tesoretto (semmai ci fosse!) restasse per quanto più possibile nelle casse della società. Peccato che se il balzello fosse diventato obbligatorio a rimetterci sarebbero stati i redditi bassi.

Come dire: oltre il danno la beffa! Perché molti professionisti, piccoli imprenditori, commercianti, figurano negli scaglioni di reddito inferiori a cui si applica l’aliquota Irpef del 23% (e lasciamo perdere che parecchie di quelle dichiarazioni dei redditi figurano quanto meno sospette; basti dare un occhio ad alcune delle bizzarrie fiscali del 2011).

Con l’Iri invece si sarebbero ritrovati a pagare il 27,5%. E quindi? Scommetterà sull’Iri chi ne trarrà beneficio. Gli altri andranno avanti come sempre.

Ma un esempio concreto degli effetti della nuova tassazione potrebbe essere utile per capire:
 
lo studio di avvocati XY totalizza 500 mila euro l’anno di reddito professionale, di cui 300 mila prelevati dai due soci (150 mila a testa). Gli altri 200 mila restano nelle casse dello studio. L’idea è di comprarsi un immobile. Chissà… Con l’Iri il reddito considerato sarà pari a 200 mila euro e con l’aliquota al 27,5% (supponendo sempre che quella sia la soglia individuata) lo studio dovrà pagare al Fisco 55 mila euro.

I soci invece pagheranno ciascuno 57.670 euro sui 150 mila incassati (calcolo Irpef). Risultato: soci più studio pagheranno in tutto 170.340 euro. E a conti fatti il carico fiscale rispetto all’attuale regime sarà inferiore di 31 mila euro.

Mica briciole!
 
Ultimo capitolo: i tempi d’introduzione dell’Iri. Lunghi! Prima toccherà al Parlamento approvare il decreto fiscale. Poi la palla passerà al Governo perché adotti i decreti attuativi. Avrà 9 mesi in tutto per farlo. Ma attenzione: una sorta di Iri era stata prevista anche dalla Finanziaria 2008 ma non è mai diventata realtà proprio perché i decreti attuativi non si sono mai palesati. Che serva da lezione?

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