Foto: Cesare Martucci
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Il martirio dei cristiani iracheni.

“Era una domenica di ottobre: precisamente il 31 ottobre 2010. La chiesa era affollata di fedeli, c’erano anche tantissimi bambini. All’improvviso si sentono alcuni spari e un’esplosione: cinque terroristi armati fino ai denti irrompono nella cattedrale. Immediatamente scoppia il panico, tutti cercano di ripararsi da qualche parte. Una settantina di persone, almeno, cerca rifugio nella minuscola carestia. I terroristi cominciano a sparare e feriscono i primi fedeli. Iniziano così quattro ore da incubo: sparano, uccidono, feriscono senza mostrare la minima pietà. Utilizzano tutte le armi che hanno a disposizione. Qualche fedele si finge morto. In cielo si sente l’elicottero della polizia. Gli ostaggi pregano, sperano in un intervento degli agenti o dell’esercito. Ma quando arriva non c’è nulla da fare. I terroristi si fanno saltare in aria con le cinture piene di esplosivo. E’ la fine. Si conteranno 45 morti tra i cristiani, tra i quali anche un bimbo di tre mesi e uno di tre anni, più due sacerdoti. Sono i martiri cristiani di Baghdad”.

E’ drammatico, nella sua lucida precisione, il racconto di padre Ansaar Safeed, parroco della cattedrale siro-cattolica di Baghdad, Nostra Signora della Salvezza. Anche il vescovo ausiliare della città, Shlemon Warduni, porta la sua testimonianza: “Quando sono arrivato sul posto ho visto una scena che non potrò mai dimenticare: sangue dappertutto, brandelli di corpi persino sul soffitto, tutto distrutto”.

Oggi sulle rovine di quella chiesa è sorta una nuova cattedrale, con un santuario che raccoglie le fotografie e i ricordi di quei martiri. Commoventi i biglietti scritti dagli ostaggi in quelle ultime ore: “Sto per morire in nome di Cristo, che Dio mi aiuti”, firmato Emmanuel. “Ho paura, moriremo tutti! Ciao amore mio”, firmato Amina. Poi ci sono le stole insanguinate, i libri di preghiera con i proiettili ancora conficcati, la tastiera dell’organo macchiata di sangue.

Da quel giorno la vita dei cristiani a Baghdad non è stata più la stessa. Le chiese sono state circondate da mura ancora più alte e filo spinato, alla porta guardie armate, per entrare occorre lasciarsi perquisire.  Anche la cosa più semplice, come andare a Messa la domenica, o portare i bambini all’oratorio, a Baghdad oggi può essere fonte di pericolo. Per farlo occorre sottoporsi a una serie di controlli e di restrizioni che a noi sembrano impossibili. Ma è il segno della coraggiosa testimonianza dei fedeli che vivono laggiù.

“I cristiani devono rimanere in questa terra, la terra di Abramo, la terra da dove è iniziata la storia dell’ebraismo e del cristianesimo. Ma non è facile. Tantissimi fuggono altrove”, racconta il cardinale Louis Sako, patriarca caldeo di Baghdad. E i numeri gli danno inesorabilmente ragione: dieci anni fa i cristiani in Iraq erano oltre un milione, oggi non arrivano a 450 mila. Nel 1959 a Baghdad erano 500 mila, ora sono 150 mila. I cattolici in Iraq sono circa 290 mila, per l’80 per cento caldei, quindi siro-cattolici, armeni, melchiti e latini, a seconda del rito che utilizzano per celebrare la Messa. Solo a Baghdad si contano quattro cattedrali: una ricchezza e una storia straordinaria che rischia di essere cancellata a causa di condizioni di vita e di minacce continue di attentati, divenute insostenibili. “Non si può vivere sempre con la paura. Avevano detto che ci avrebbero portato pace e democrazia con la guerra. Dopo dieci intorno a noi vediamo caos e paura”, prosegue il patriarca e avanza una proposta: “Basta con le parole vuote e le promesse dei politici. Dobbiamo puntare finalmente a una separazione tra la religione e lo Stato. Tutti devono godere degli stessi diritti, incluse le minoranze, come i cristiani”.

Per portare un po’ di fiducia e di speranza ai cristiani coraggiosi dell’Iraq, l’Opera romana pellegrinaggi, una delle maggiori organizzazioni italiane specializzate in turismo religioso che fa capo alla diocesi di Roma ma opera in tutta Italia, dal prossimo anno proporrà un pellegrinaggio in Giordania e Iraq, che toccherà i luoghi di Abramo (Ur), Babilonia, il palazzo di Nabucodonosor, la tomba del profeta Ezechiele. Un modo per aiutare, anche economicamente, i cristiani che vivono laggiù, ma soprattutto per dare una testimonianza di incoraggiamento e vicinanza.

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