ANSA/Massimo Percossi
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Immigrati: la demagogia della Lega e del Governo

Matteo Salvini difende il "no" dei governatori leghisti ad accogliere nuovi migranti ("no" al quale si è aggregato il neo-eletto presidente azzurro della Liguria, Giovanni Toti) con la spiega che il "vade retro" non riguarda gli immigrati regolari ma quelli illegali, irregolari, in una parola i clandestini. Il leader della Lega annuncia che d’ora in poi li chiamerà col loro nome: clandestini, appunto. I primi, i regolari, non hanno nulla a che vedere coi secondi (nuovi arrivati senza documenti, in parte richiedenti asilo in parte migranti economici a caccia di una nuova vita e molti, necessariamente, candidati a ingrossare le fila della criminalità).

Obiettano invece sindaci e governo centrale, la presidente della Camera Laura Boldrini e il direttore generale dell’Immigrazione del ministero dell’Interno, Mario Morcone: la Lombardia e il Veneto sbagliano, non possono venir meno al dovere di condivisione sinonimo di solidarietà, le Regioni del Nord hanno accolto in proporzione al numero di abitanti e al Pil meno migranti di Sicilia, Lazio o Campania. Ergo, dovrebbero anzi ospitarne di più.

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Il punto è che non ci sono buoni o cattivi. Qui c’è solo una diversa visione dell’immigrazione, diversità che ripropone a livello nazionale quella tra i paesi europei che rischia di rendere inapplicabili le misure adottate dalla Commissione (in particolare la redistribuzione equa di profughi tra i 28). Ha ragione il premier Matteo Renzi a sostenere che proprio la filosofia che sta dietro al "no" dei governatori leghisti rende l’Italia più fragile nelle richieste di "condivisione" indirizzate a Gran Bretagna, Francia, Spagna e Polonia. Ma hanno ragione Salvini e gli azzurri a denunciare un errore di fondo italiano, e forse europeo, nel Mediterraneo: spalancare le braccia non è il modo migliore per scongiurare nuove traversate della morte.

E le regole, anzi le leggi, vanno osservate: non si può e non si deve derogare. In Italia succede che i migranti, da respingere alle frontiere se privi di documenti, vengono raccolti in mare da una flotta variegata che comprende unità militari britanniche e francesi (oltre che italiane), pescherecci di varie nazionalità e yacht di filantropi. E tutti fanno sbarcare nei nostri porti il loro carico umano. Molti immigrati (la percentuale più alta) non vengono neppure identificati.

Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha avuto il coraggio di sostenere che il problema è la stazza dell’immigrato che non può esser costretto a farsi prendere le impronte digitali. In fondo, non ci conviene identificarli tutti, perché quelli che riescono dall’Italia a proseguire e entrare in altri Paesi europei, non essendo stati identificati nel punto d’approdo possono sperare in un asilo della Germania piuttosto che della Francia. Eppure non è così che dovrebbe funzionare il sistema.

In ogni paese che si rispetti le frontiere vengono difese, chi entra è identificato (e, se non ha i requisiti, respinto) e i flussi migratori passano al vaglio dei funzionari. In Florida i boat people da Cuba venivano respinti in mare. Così in Australia. O in Francia, dove "non passa lo straniero". In Austria vengono rimandati indietro. In Italia, siamo buoni. Li accogliamo, forniamo cure e assistenza, li ospitiamo (per mesi) in centri che dovrebbero tenerli solo per 35 giorni (in attesa di una risposta alla loro richiesta di asilo i cui tempi possono superare i sei mesi).

Quanto ai decreti di espulsione, vengono accartocciati e cestinati. Allora perché, con quale diritto, uno Stato troppo tollerante, che non fa osservare le leggi, dovrebbe contare su un atteggiamento compiacente, generoso e collaborativo di Regioni che sull’immigrazione hanno ben altre idee? Idee britanniche o francesi? O spagnole? L’ipocrisia regna sovrana, l’ideologia detta a piccoli leader a caccia di consenso. annunci e dichiarazioni. Ma da un lato e dell’altro prevale la stessa legge della giungla demagogica. Con nessuna capacità di affrontare seriamente il problema o imporlo in modo definitivo alle autorità europee. Un fallimento su tutti i fronti, minato da quell’enorme punto interrogativo che si chiama "trasparenza degli appalti". Business dell’accoglienza.      

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