Il sole non sorge più ad Est, cap. II

Il 31 ottobre del 1956, mentre ha inizio l’attacco anglo-franco-israeliano all’Egitto (che ha nazionalizzato e chiuso il Canale di Suez), i massimi organismi dell’Unione Sovietica decidono l’intervento in Ungheria. Questo avverrà nei primi giorni di novembre e avrà presto ragione della coraggiosa e impossibile resistenza dei patrioti ungheresi.

L’invasione mette in luce alcuni dati fondamentali. Da un lato, la debolezza semi-paranoica dei vertici sovietici, che non hanno affatto superato la sindrome del “cordone sanitario”, ossia di quell’anello di stati ostili che si era formato, anche per opera delle grandi potenze, alla frontiera europea dell’Urss fra le due guerre mondiali; d’altra parte, l’Unione Sovietica mostra nella rapida e tremenda repressione una brutalità e un pugno di ferro che sgomentano. Entrambe queste caratteristiche, tuttavia, erano note ed evidenti; la novità è che l’Urss appare in Ungheria, nel 1956, come una normale potenza imperialista, che ha perduto o non ha mai davvero sviluppato il collegamento con le spinte ideali che l’hanno formata, e soprattutto con le classi e gli individui che l’hanno sostenuta e che ancora la sostengono in ogni parte del mondo.

Dal 31 ottobre 1956 l’Unione Sovietica è uno stato qualsiasi; dalla stessa data, o meglio dalla fine della resistenza nelle strade di Budapest, l’Ungheria è un Paese gelato e bloccato. Ma entrambi gli avvenimenti meritano un discorso a parte.

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