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ANSA/ANGELO CARCONI
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Il programma del M5S? Non chiamatelo "politico"

Sorpresa, il Movimento 5 Stelle che si presenta come la più nuova e radicale delle forze politiche apparse sulla scena negli ultimi decenni, nel suo programma in venti punti per le prossime elezioni politiche non annuncia nulla di nuovo, tanto meno di radicale. Come mai?

La risposta più benevola è che i grillini si fanno forza di governo, passano dalla protesta alla proposta e, per vincere le elezioni, vogliono conquistare i moderati. È prevalsa la linea Casaleggio (Davide) per bocca di Luigi Di Maio mentre Beppe Grillo resta come padre nobile e fondatore, ma non detta più l’agenda. C’è senza dubbio una parte di verità in questi argomenti, ma se si guarda il lungo elenco di faremo, si resta colpiti dalla fragilità del tutto.

Nessuna idea nuova

Non c’è una idea forza, siamo a Pinocchio e al paese dei balocchi. Persino i tre slogan di fondo appaiono vuoti alla luce dei fatti. Ecco qua: “partecipa”, ma Di Maio non ha diffuso il risultato delle parlamentarie on-line; “scegli” e i capilista sono stati tutti scelti dal vertice cioè dalla Casaleggio e associati; “cambia” e qui di cambiamenti se ne vedono davvero pochi.

Prendiamo alcuni temi chiave della prossima legislatura, a cominciare dalle tasse.

Si parla di ridurre le aliquote Irpef, di esentare i redditi fino a 10 mila euro annui, tagliare l’Irap e il cuneo fiscale. Non molto più di quel che propone in sostanza il Pd. E mille miglia lontano dalla flat tax, la più forte riforma fiscale lanciata dal centrodestra. Tra l’altro un libro appena uscito dell’economista Nicola Rossi ne spiega la realizzabilità (coperture comprese) e smentisce che sia un favore ai ricchi come sostiene invece la sinistra.

Anche sulle pensioni, a parte la rituale polemica contro la legge Fornero, “da superare”, si prevedono solo maggiori spese: un aumento a cominciare dai minimi (780 euro netti a tutti e 1170 per una coppia) e la introduzione di quota 100 per andare in quiescenza sommando età e anni di lavoro.

La nuova occupazione, dopo aver attaccato il Jobs act, dovrebbe venire da investimenti pubblici e da nuove assunzioni nell’apparato dello stato. È questa la strada anche per contrastare l’illegalità (10 mila poliziotti in più) e l’immigrazione clandestina (10 mila assunti nelle commissioni territoriali sul diritto di asilo).

Lo stop al business dei migranti e i trattati per i rimpatri non si differenziano molto da quel che propongono tutti gli altri. E la giustizia? Assunzioni “se serve”, per rendere più veloci i processi. Vista una certa sintonia con le procure, non vengono affrontate le questioni più spinose riguardo alle carriere.

Più veloce deve essere anche la sanità, con il taglio delle liste d’attesa. Questo obiettivo si presume debba essere realizzato aumentando il personale. Il che vale per la scuola quando si parla di “abolizione del precariato” superando la buona scuola renziana. Sulle banche si vuol creare una procura speciale e rimborsare i truffati. Ma c’è anche la nascita di una banca pubblica per gli investimenti (un vecchio pallino che, a chi ha qualche capello bianco, fa venire in mente la prima repubblica).

I finanziamenti della lista della spesa

Insomma, una vera e propria lista della spesa. E come verrebbe finanziata? Non aumentando il debito, che anzi andrà tagliato di ben 40 punti rispetto al prodotto lordo, ma riducendo gli sprechi e l’evasione fiscale. Vasto programma. Non c’è forza politica che non abbia preso lo stesso impegno almeno dagli anni ’70 in poi, cioè da quando il debito pubblico era al 60% del prodotto lordo, fino ad oggi che siamo al 130%.

Ma attenzione, il M5S fa un passo avanti. Non più lotta a una generica evasione. No. Perché così si rischia di colpire anche il macellaio sotto casa il cui voto è prezioso. Oggi bisogna combattere “la grande evasione”. La piccola lasciamola stare, così come l’abusivismo. Dalli ai grandi, via libera a tutti gli altri. In Sicilia la distinzione ha funzionato e ha portato voti sopratutto nel sud dell’isola. Dunque, si replica su scala nazionale.

L'euro ora va bene

E l’euro? Non piace al movimento, questo è chiaro, e nemmeno ai suoi leader. Ma qui l’evoluzione della linea è stata davvero paradigmatica. Si è passati dal no secco a una uscita concordata, dal ritorno alla lira alla moneta doppia e/o virtuale, dal referendum alla consultazione. Adesso è arrivato il silenzio.

I venti punti non ne parlano nemmeno. Nessuna Italexit, niente pugni sul tavolo. “Ci faremo sentire a Bruxelles quando saremo al governo”, dice Di Maio; in realtà lo hanno già sentito e non vogliono scherzi, il commissario agli affari economici Pierre Moscovici ha messo subito le mani avanti.

Il M5S propone di sforare il 3% nel rapporto tra deficit e prodotto lordo. Ma chiunque vada al governo dovrà trovare nel giro di poche settimane almeno 3 miliardi di euro per colmare lo sforamento consentito dalla Ue che ha chiuso un occhio fino alle elezioni.

Cosa significa governare

Nella presentazione della squadra, spiccava Gregorio De Falco, quello del “torni a bordo, cazzo” urlato al comandante Schettino che ha abbandonato la Costa Concordia in pieno naufragio, una delle frasi topiche degli ultimi anni. In realtà è un militare e come tale non potrebbe fare politica direttamente, tanto meno presentarsi candidato. A chi glielo ha fatto notare, ha risposto correttamente: “Aspetto l’autorizzazione e non ho detto nulla di politico”.

Beh, anche Di Maio aspetta l’autorizzazione e non ha detto nulla di politico se per politica non si intende la propaganda, ma l’arte di governare uno stato e una società.

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