Il cinema italiano è morto (ma lo salverà Gabriel Garko)

Sono andato a vedere il film italiano dell’anno, o almeno quello che in tanti dicono essere il film italiano dell’anno. S’intitola L’intervallo, e non chiedetemi perché.

Il cinema italiano è morto non perché una volta, nello stesso anno, uscivano La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli e L’avventura. Non solo. È morto perché è facile in casi come questo immaginare i tre (TRE) sceneggiatori seduti al tavolino di un bar di Prati mentre si palleggiano idee del tipo: «Prendiamo due ragazzini incastrati dalla camorra, una storia tra Romeo e Giulietta e la questione israelo-palestinese, ci mettiamo pure un po’ di panismo alla Terrence Malick, così piace ai giornalisti stranieri da festival, e sicuro ci cascano tutti». Fosse uscito nei tempi giusti, sarebbe stato lui il candidato italiano all’Oscar invece di Cesare deve morire dei Taviani, che ha l’appeal internazionale di una puntata di Report sulla Protezione Civile.

Ma mica si può pensare al mercato. Del resto, «l’americano è una lingua così difficile», come dice, nel suo perfetto accento da siciliana della Garfagnana, Laura Torrisi in Pieraccioni nell’Onore e il rispetto – Parte terza. Quella sì, una vera storia di mafia. Quello sì, il Grande Cinema Italiano di una volta, dove persino Gabriel Garko pare Marcello Mastroianni.

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