I miei occhi cercano i tuoi come insetti esitanti tra i sentori della Primavera

Se tutte le parole pronunciate da Socrate che conosciamo non vengono dalla sua bocca ma da quella di Platone che gliele fa pronunciare, allora non è ridicola l’impresa di un fantomatico (?) studente portoghese di nome Miguel Real di far scrivere a Socrate una lettera ad Alcibiade, «suo vergognoso amante».

Platone, mettendolo nel Simposio seduto accanto a Socrate a casa di Agatone, ne fa un fulcro di erotismo corsaro e sfrontato, a cui lo stesso Socrate, di vent’anni più anziano, guarda come incantato. Platone  fa parlare anche Alcibiade, il quale dice che Socrate è «tal quale quei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, che gli artisti rappresenta soggioga chi ascolta: «come le melodie del satiro Marsia le sue parole incantano, fanno balzare il cuore il petto, fanno versare lacrime». Addirittura, per resistergli a volte deve tapparsi le orecchie con la cera come Odisseo al cospetto delle Sirene.

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