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I barbari purtroppo sono già tra noi

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Parigi, 14 novembre 2015, il tributo alle vittime degli attentati terroristici: fiori e candele in Place de la Republique
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Una madre con una figlia si fermano per il minuto di silenzio in ricordo delle vittime delle stragi di Parigi alle 13 del 16 novembre 2015
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Giovani studenti all'Università Sorbona applaudono dopo il minuto di silenzio in onore delle vittime delle stragi di Parigi - 16 novembre 2015
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Una foto di una vittima degli attentati di Parigi davanti al Cafe Belle Equipe in rue de Charonne - 15 Novembre 2015
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Una foto di una vittima degli attentati di Parigi davanti al Cafe Belle Equipe in rue de Charonne - 15 Novembre 2015
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Bandiere francesi e un cartello sul ramo di un albero con la scritta: "Non vi faremo scegliere il futuro dei nostri figli" davanti al Cafe Belle Equipe in rue de Charonne a Parigi - 16 Novembre 2015
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I parigini rendono omaggio alle vittime degli attentati di Parigi davanti al ristorante Le Carillon - 15 novembre 2015
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I parigini rendono omaggio alle vittime degli attentati di Parigi davanti al Bataclan - 15 novembre 2015
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Parigi, 14 novembre 2015, il tributo alle vittime degli attentati terroristici: fiori e candele in Place de la Republique
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Parigi, 14 novembre 2015, fiori e candele davanti al teatro Bataclan
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Parigi, 14 novembre 2015, fiori e candele davanti al teatro Bataclan
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Parigi, 14 novembre 2015: l'omaggio di Bono e del gruppo degli U2 alle vittime dell'attentato al teatro Bataclan
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Parigi, 14 novembre 2015, fori di proiettile sulla vetrina di un bar
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Alcune persone mettono fiori davanti all'ambasciata francese in Polonia - 14 novembre 2015
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Alcune persone accendono candele in ricordo delle vittime degli attentati di Parigi a Lion - 14 novembre 2015
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Un abbraccio tra due amiche davanti al bar Le Carillon a Parigi - 14 Novembre 2015

Meno di due ore dopo gli attacchi in simultanea in Francia, il sito di Panorama (www.panorama.it) titolava: «Guerra a Parigi». Le immagini e il messaggio che arrivavano dalla capitale erano chiarissimi: il commando dell’esercito dei barbari senza divisa aveva lanciato un’offensiva in tutto e per tutto paragonabile a un deliberato atto di guerra. Non è stato il primo e, purtroppo, non sarà neppure l’ultimo. Perché colpiranno ancora, come avvenuto dopo la strage di gennaio a Charlie Hebdo e al supermercato kosher. Era chiaro già allora e lo sostenemmo con forza perché era evidente che l’orrore aveva abbattuto le porte di casa nostra. E per «casa nostra» si intende la civiltà occidentale e i luoghi delle normalità, non un Paese o una città dell’Europa. Eravamo e siamo tutti noi nel mirino, per intenderci è un target chiunque viva a qualsiasi latitudine a ovest delle roccaforti del Califfato di Raqqa. In aereo, in treno, nei ristoranti, al teatro, allo stadio: fate un ripasso degli attentati del 2015 e vi accorgerete che sotto attacco c’è la vita di tutti i giorni, la nostra normalità appunto e non obiettivi militari.

Nonostante gli inviti a prendere atto della guerra subdola e codarda che i terroristi combattono da oltre dieci anni, l’Italia si è colpevolmente cullata nell’utopia che eravamo sicuri mentre tenevamo aperte le porte a un’onda migratoria in cui tra i disperati si mescolavano i terroristi. Quanti ne sono entrati? Quanti ne sono rimasti nelle nostre città? Quanti hanno fornito false identità? Quanti si sono finti profughi? Nessuno lo sa. Nell’inconcludenza dei dibattiti televisivi oggi il Paese è vigliaccamente in una posizione di retroguardia, con il presidente del Consiglio che a dar retta ai suoi fedeli retroscenisti non vuol neppure sentire pronunciare la parola «guerra». Ma la guerra, sissignore la guerra, è in corso e come tutte le guerre si alimenta di morte e terrore. E noi, che cos’altro vogliamo aspettare per difenderci? Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio che ha inviato al nostro settimanale in occasione dell’ultima tappa del tour di «Panorama d’Italia» (potete leggerlo a pag. 14), pone una questione centrale quando afferma che «la nostra dimensione nazionale oggi rischia di essere limitata, se non riusciremo insieme agli altri Paesi europei a rilanciare l’Europa come soggetto unitario nel mondo globale. Abbiamo bisogno di più Europa e la minaccia terroristica rende ancora più urgente questa necessità storica». Siamo dunque davanti a una «necessità storica», sottolinea il capo dello Stato mentre chiama l’Europa a un intervento «urgente».

La necessità, l’urgenza e la dimensione storica invocano solo una parola: intervento. E l’Italia, che in Europa conta (dovrebbe contare) sulla voce di Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, quali iniziative tenta di portare avanti al netto di una dichiarazione di «mutua assistenza» condivisa dai partner dell’Ue? Purtroppo il governo preferisce nascondere la testa sotto la sabbia, pensa di tranquillizarci depennando dal vocabolario la parola guerra. Risparmiateci le fiaccolate e i Je suis Paris, per favore: chi governa abbia la consapevolezza di chiamare le cose con il loro nome e chieda a tutto il Paese di fare fronte comune. Perché i barbari non sono alle porte, sono già tra noi.

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