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Hong Kong: perché si è sgonfiata la protesta

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A Hong Kong, gli ultimi manifestanti “pro-democrazia” si sono visti strappare dalla polizia e dagli anti-Occupy le barricate erette in difesa della loro forma di protesta e hanno così ingaggiato una serie di corpo a corpo, da cui sono scaturiti numerosi tafferugli e il brutale pestaggio di un manifestante (diventato virale su internet) sul quale ora le autorità di Hong sono state costrette ad aprire un'inchiesta e a rimuovere i poliziotti violenti. Ma gli “irriducibili di Admiralty”, il centro finanziario e amministrativo dell’isola di Hong Kong, hanno ormai compreso che la loro lotta è destinata a sfumare.

 Le legittime proteste nell’ex protettorato britannico per mantenere un assetto politico democratico e indipendente sono certamente un fatto serio. Ma se l’aspetto politico-istituzionale di Pechino - ovvero il “regime comunista” - crea malumori e genera opinioni divergenti in Occidente, questo non basta per affermare che nella Repubblica Popolare Cinese l’intera popolazione la veda alla stessa maniera.

 Ad oggi non è credibile che una nuova ondata di proteste, magari più grandi di quelle che abbiamo visto nascere due settimane fa sotto lo sfortunato nome di “Occupy Central” (in omaggio all’altrettanto sfortunato “Occupy Wall Street”), si estenda al continente o si ripeta in forme più estreme.

 La manifestazione è destinata a dissolversi per il semplice fatto che la comunità economica di Hong Kong - determinante anche nel resto della Cina - non si è schierata a favore dei manifestanti.

Rivolta ad Hong Kong

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Nell'area di Admiralty, a Hong Kong, un giovane manifestante emerge dalla tenda installata nei pressi degli edifici governativi, aderendo alla campagna di disobbedienza civile di massa "Occupy Hong Kong". Per strada rimangono centinaia di persone, sparse fra i tre presidi di Admiralty, Causeway Bay e Mongkok (penisola di Kowloon).

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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<> on October 3, 2014 in Hong Kong, Hong Kong. Thousands of pro democracy supporters continue to occupy the streets surrounding Hong Kong's Financial district. The protesters are calling for open elections and the resignation of Hong Kong's Chief Executive Leung Chun-ying, who last night agreed to hold talks with the protest leaders in a bid to diffuse the growing unrest.

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Hong Kong, 3 ottobre 2014

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Nei pressi degli edifici governativi di Hong Kong, due bambini di fronte a una parete riempita da post-it colorati in supporto al movimento democratico che da giorni sta manifestando per le strade della città.

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Un momento della manifestazione degli studenti nell'ex colonia britannica

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Un momento delle proteste a Hong Kong

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Nicolò Bellotto
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Hong Kong, 30 settembre 2014. Le luci dei telefoni cellulari dei manifestanti illuminano la notte.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Migliaia di manifestanti sfilano sotto la pioggia.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Migliaia di manifestanti sfilano sotto la pioggia.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Accanto a un manifestante intendo a leggere un libro in un momento di riposo, su un cartello si legge "Giorno 4. Stare calmi e andare avanti".

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Su un autobus parcheggiato nel distretto di Mong Kok si legge "Quel che non ti uccide ti rende più forte".

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Un momento della protesta notturna, durante un forte temporale.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. I manifestanti cantano canzoni e agitano i loro cellulari dopo la fine del temporale.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. I manifestanti cantano canzoni e agitano i loro cellulari dopo la fine del temporale.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. I manifestanti visti dall'alto.

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Hong Kong, 30 settembre 2014. Migliaia di manifestanti durante la protesta notturna, sotto un forte temporale.

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Denti da vampiro per il governatore di Hong Kong Leung Chun-Ying.

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Hong Kong, 28 settembre 2014.

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Hong Kong, 29 settembre 2014. La ripresa delle manifestazioni pacifiche.

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Hong Kong, 29 settembre 2014. Un momento di riposo.

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Hong Kong, 28 settembre 2014. Un ufficiale di polizia osserva i manifestanti.

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Hong Kong, 28 settembre 2014. Lacrimogeni sulla folla dei manifestanti.

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Pro-democracy demonstrators rest after a night of protesting at a rally outside the Hong Kong government headquarters on September 29, 2014. Police repeatedly fired tear gas after tens of thousands of pro-democracy demonstrators brought parts of central Hong Kong to a standstill on September 28 in protest at Beijing's refusal to grant the city unfettered democracy. AFP PHOTO / DALE DE LA REY (Photo credit should read

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Hong Kong, 28 settembre 2014. Un manifestante in fuga dai gas lacrimogeni.

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Hong Kong, 29 settembre 2014. Un manifestante leggermente ferito nei presso degli uffici governativi.

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Hong Kong, 29 settembre 2014. Tre giovani manifestanti si riposano distesi a terra.

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Hong Kong, 29 settembre 2014. Una ragazza mostra un cartello di protesta in Nathan Road.

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Giovani manifestanti in Nathan Road, arteria nel cuore del distretto di Kowloon a Hong Kong, 29 settembre 2014

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Hong Kong, immagini della protesta

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Otto manifestanti prodemocrazia a Hong Kong, 28 settembre 2014

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Hong Kong, 28 settembre 2014

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La polizia di Hong Kong spara spray lacrimogeno contro i manifestanti pro democrazia del movimento Occupy Central, 28 settembre 2014 Hong Kong, 28 settembre 2014

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Hong Kong, 28 settembre 2014

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Hong Kong, 28 settembre 2014

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22 settembre 2014. A Hong Kong, migliaia di studenti vestiti dii bianco (segno di lutto in Cina) manifestano per la democrazia: è l'inizio delle manifestazioni contro l'autoritarismo del governo di Pechino, accusato di aver rinnegato l'impegno del 1997 a garantire all'ex colonia britannica un sistema pienamente democratico.

Hong Kong, che notoriamente è il mezzo di passaggio economico del denaro occidentale alla Cina, non ha voce senza il supporto-chiave dei suoi dirigenti e gli studenti potranno poco o nulla contro questa realtà, ben più ampia delle poche migliaia di giovani che si sono riversati in strada. Si può anzi affermare che, localmente, la contro-protesta dei tassisti abbia avuto più impatto. Non è una considerazione etica, ma meramente numerica. Che i diritti passino in secondo piano rispetto all’interesse economico generale non è certo un bene ma, analizzando i numeri, scopriamo che questo è quello che vogliono i cinesi.

Cosa vogliono i cinesi
Secondo un sondaggio del Foreign Policy statunitense, il 98% dei cittadini cinesi, anche messi di fronte a delle elezioni che in Occidente chiamiamo di tipo “democratico”, oggi voterebbe ancora il Partito Comunista Cinese. Il che è naturale. La classe media urbana desidera forse più libertà politica e maggiori diritti, ma non insorgerebbe mai in massa contro lo Stato, perché ha troppo da perdere. La società del consumismo ha ormai attecchito anche qui e, contemporaneamente, le grandi riforme economiche hanno migliorato la vita dei cinesi.

 La libertà di consumare beni per la collettività cinese, anche quella giovane, è perciò molto più attraente di vaghi diritti democratici che, al contrario, spaventano perché potrebbero comportare la perdita del benessere acquisito sinora dalla società guidata dal Partito Comunista. È più facile, semmai, che una “rivoluzione” si consumi all’interno del Partito stesso, attraversato da scandali e da corruzione. Inoltre, l’idea che la Cina un giorno diventi una democrazia è una speranza coltivata solo a Occidente, e resta un concetto basato sulle teorie dei sistemi politici analizzati da questa parte di mondo.

La Cina di Mao
Del resto, il modello democratico occidentale oggi è forse più in difficoltà che non quello cinese. Si veda l’Europa, ad esempio, dove il sistema di rappresentanza politica è ormai lievitato a una dimensione monstre, tale per cui le troppe regole lo rendono un impianto farraginoso, burocratizzato e non del tutto affidabile. Senza parlare del fallimento dell’esportazione di tale modello in luoghi che non siano l’Occidente stesso, dove quasi mai ha attecchito.

 I cinesi oggi non sono più soltanto governati da comunisti, ma da veri e propri capitalisti che sfruttano un modello economico all’apparenza vincente e prosperoso. E questo anche grazie alla solidità di quel Partito Comunista che, pur essendo un unico rappresentante, al suo interno è attraversato da numerose correnti. Il comunismo cinese portato in auge da Mao Zedong, inoltre, è un caso sui generis di comunismo e, tanto per dire, si è discostato dal modello sovietico sin dall’origine. I sinologi raccontano che Mao stesso nel 1931 neanche conosceva Marx, poiché non era ancora stato tradotto. La sua rivoluzione fu dunque pragmatica e partì dal medesimo presupposto con il quale fa i conti oggi la protesta di Hong Kong: i numeri.

 Joseph Stalin, che non amava affatto Mao, pretendeva che fosse la classe operaia ad andare al potere anche in Cina. Ma nella Cina negli anni Trenta le masse operaie erano una ristretta minoranza relegata nelle città, tali che non avrebbero mai potuto rovesciare il Kuomintang di Chiang Kai Shek.

 Mao era consapevole che la rivoluzione sarebbe dovuta partire dalle campagne, dove i contadini erano la stragrande maggioranza. Conquistare le masse rurali era la sola premessa per vincere e la rivoluzione aveva bisogno di tutto l’appoggio di quella parte della popolazione. L’intuizione logica di Mao si rivelò corretta: sarebbero state le campagne ad accerchiare le città, perché numericamente non era possibile il contrario. Mao sconfisse così il Kuomintang e il Partito Comunista Cinese si affermò definitivamente.

I numeri contro gli studenti
Allo stesso modo, oggi gli studenti di Hong Kong non godono dell’appoggio politico né della solidarietà delle grandi masse urbane (rispetto all’epoca di Mao, infatti, la situazione si è ribaltata), perciò sono destinati a rimanere al punto in cui sono. Più utile per loro sarebbe riprendere ancora un altro esempio di Mao, il quale sosteneva: “Ho fatto due cose importanti nella mia vita, ho cacciato Chiang Kai Shek e ho lanciato la rivoluzione culturale, che ha mutato radialmente la struttura interna del Partito”.

 Serve dunque una nuova rivoluzione culturale, che non affronti il Partito dalle piazze ma dal suo interno. Quando Mao affermava “bombardiamo il Quartier Generale”, si riferiva proprio al centro direzionale del Partito. Anche oggi è là che si annidano quei troppi privilegi che hanno generato una nuova classe borghese che, per garantirsi di poter fare ciò che vuole, è divenuta nomenklatura. Da là si potrebbe ripartire.

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