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La jihad dei tartari di Crimea

Il tartaro Reshat Ametov voleva arruolarsi nell’esercito ucraino per difendere la Crimea. Uomini in mimetica (come i filorussi) l’hanno rapito, torturato e ucciso. Il 19 marzo, al funerale nella capitale Sinferopoli, un gruppo di giovani con tunica islamica e barbone integralista stanno in disparte meditando vendetta in nome di Allah.

"La Crimea potrebbe diventare un altro Afghanistan o Siria. Se ci sarà un conflitto, i musulmani da diversi paesi verranno a combattere". Parola di Fazil Amzayev, rappresentante di Hizb e Tahir, movimento estremista islamico, con sede in Ucraina e cellule in Crimea, ma fuori legge in Russia.
"I russi ci hanno invaso. Per questo siamo pronti a imbracciare le armi" annuncia Alim, 23 anni, di Sinferopoli, aria da salafita.

Intervistato da Panorama, Refat Chubarov, leader moderato dei tartari di Crimea (300 mila membri), butta acqua sul fuoco: "Abbiamo vissuto per mezzo secolo in esilio (dopo la deportazione voluta da Stalin nel 1944, nda). I giovani sentono la patria ritrovata sotto minaccia, ma i salafiti sono pochi ed escludo che possano tentare azioni militari".

Per alcune fonti, un centinaio di tartari sono andati a combattere in Siria. In nome della guerra santa, Ramazan, nome di battaglia Abu Khalid, originario di Nizhnegorsk, il 25 aprile 2013 si è fatto saltare in aria ad Aleppo. I tartari sono arruolati nel Jaish al-Muhajireen wal-Ansar, gruppo filo Al Qaeda, il cui vicecomandante è il mujahed della Crimea, Abdul Karim Krimsky. L’aspetto paradossale è che gli ultranazionalisti cristiani di Pravy Sektor, ariete militare della rivolta di piazza Maidan, sostengono che i tartari "sono stretti alleati" e già armati. Per evitare derive rischiose, il moderato Chubarov chiede "l’invio in Crimea di 250-300 osservatori europei (italiani compresi) che secoli fa hanno colonizzato queste terre".

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