Il rumore di fondo di Beppe Grillo

Il chiacchiericcio della politica italiana lascia intrascoltare, per così dire, un’altra chiacchiera che continua a produrre rumori di sottofondo, abili dissonanze che sono un misto d’impegno e qualunquismo, verità e falsità, coraggio e passatismo. È il rumore di fondo di Beppe Grillo e della sua truppa diversamente allineata di parlamentari “lealisti” (leali con Grillo). Perché Grillo dice cose vere dicendole male, e mischia alle cose vere un mix di populismo, sinistrismo retrò e malcelato razzismo. Ma dice anche cose che altri non hanno il coraggio di dire: che il paese è allo sfascio e c’è poco da sperare fintantoché il sistema resta bloccato sulla casella “larghe intese”, che il presidente della Repubblica sta svolgendo un ruolo che va forse oltre le sue strette prerogative, che il paese è stuprato da un aumento delle tasse e da un blocco di privilegi e caste da spazzare via. Infine, che bisogna tornare al voto perché gli italiani hanno tutto il diritto di scegliersi il governo che vogliono (e questo governo è scelto e imposto da altri).

Il Parlamento non risulta ancora squadernato e aperto come una scatola di sardine, eppure la rivendicazione grillina della centralità delle Camere e del lavoro dei parlamentari, la reazione all’invadenza irrituale di certi passi e certe convocazioni del Quirinale che insiste nel fissare l’agenda politica, che seleziona e chiama a Palazzo saggi e gruppi politici forse per dettare i compiti più che per raccogliere le opinioni, sono reazioni e rivendicazioni legittime. Il Movimento 5 Stelle non cala, nei sondaggi, perché le ragioni della protesta che lo hanno portato trionfalmente ad attestarsi come partito più votato alla Camera in Italia sono ancora tutte lì, intatte. Anzi, ogni giorno che passa si rafforzano, si approfondiscono. Assistiamo in questi giorni a una narrazione che potrebbe rivelarsi alla fine scollegata dalla realtà: quella di un leader nascente che potrebbe afferrare il timone del Partito democratico ma che deve ancora fronteggiare sia la potenza di Grillo, sia quella del suo stesso partito. Il Pd potrebbe preferire al guru carismatico e senza bandiera il portavoce degli apparatchik e del sindacato. E Grillo incalza, è più presente, fa incursioni dentro il Palazzo, potenzia il legame con i suoi parlamentari. Sviluppa un insopprimibile rumore di fondo. 

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