Google: ecco perché è diventato il miglior posto dove lavorare

La classifica delle migliori multinazionali dove lavorare messa a punto da Great Place to Work assegna per la prima volta a Google la palma del posto più ambito del mondo. Il podio in realtà, come racconta Huffington Post , è il frutto di una strategia nata per risolvere un problema. Quale? Quello delle donne che lasciavano l’azienda dopo la maternità. Come la maggior parte delle aziende della Silicon Valley, infatti, i dipendenti di Google sono soprattutto uomini, ma le aziende della net economy fanno di tutto per incrementare il numero di donne presenti, per aumentare il numero di talenti necessari a far crescere il business. E quando la competizione è contro gli altri giganti come Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, è facile comprendere come ogni dimissione impatti costosamente sul processo di selezione di nuovi dipendenti, sulla competitività e sulla produttività dell’azienda.

Google, che è un’azienda nata da un algoritmo, ha capito che c’era un problema legato alla felicità e si è messa a misurarlo per risolverlo. La missione di People Operations, quello che comunemente e riduttivamente sarebbe etichettato come “ufficio del personale”, è quella di individuare i problemi e implementare delle soluzioni. Il suo giovanissimo capo, il 40enne Laszlo Block, si è dunque reso conto che le 12 settimane di maternità, in linea con la media delle aziende americane più sensibili, non erano sufficienti a mantenere il pool di talenti dell’azienda. Così, dal 2007, le neo mamme hanno a disposizione cinque mesi di maternità pagata da gestire in autonomia, un privilegio più che raro negli Stati Uniti. L’azienda ha incassato i benefici di questa politica: le dimissioni delle neo mamme sono calate del 50%, la felicità interna misurata dall’inchiesta annuale è cresciuta e il costo della maternità pagata è compensato dal risparmio sul processo di selezione. 

E’ così che Pops, come in gergo è chiamato People Operations, ha sviluppato un sistema di misurazione efficacissimo per ogni aspetto della vita aziendale. Sotto la guida di Bock, infatti, il reparto del personale è diventato un sofisticato laboratorio in cui pesare i dati e guadagnare esperienza empirica su ogni aspetto della vita dei dipendenti. Negli ultimi due anni, addirittura, Google ha assunto dei sociologi per il PiLab, “People & Innovation Lab”, che conduce dozzine di esperimenti. Per esempio, è stato appurato che il numero perfetto di colloqui di lavoro prima dell’assunzione è quattro, dopo di che i ritorni diminuiscono. Quattro incontri, infatti, sono sufficienti per allargare il numero di persone che valuta il candidato, senza prosciugare l’entusiasmo di un potenziale nuovo dipendente e senza impattare negativamente sui costi. E ancora: la durata ideale della coda alla mensa è fra i tre i quattro minuti: lunga abbastanza per socializzare, ma corta quanto basta per non annoiare. Il diametro dei piatti che massimizza un pasto sano e non troppo abbondante è di venti centimetri. Il modo migliore per dare un aumento ai dipendenti non è un ricco bonus a fine anno, ma un incremento percentuale – e, quindi, garantito anche in futuro – dello stipendio base. Ma Google è riuscita anche a misurare le capacità dei manager più efficaci e dimostrato che essere un buon coach è la chiave per portare un team al successo. Dal 2009, dunque, ha accelerato sulla formazione dei coach e il risultato medio anno annuale dei manager è cresciuto di anno in anno. 

Insomma, Google ha applicato alle risorse umane la stessa potenza di fuoco che ha permesso a un’azienda che quindici anni fa non esisteva di passare da due soci a 40mila dipendenti in quaranta Paesi e di far crescere del 650% il valore azioni dall’Ipo, contro il 44% medio di Dow Jones dello stesso periodo. Ma Larry Page e Sergej Brin non hanno fatto tutto da soli nella creazione di una cultura aziendale che regala ai dipendenti la possibilità di gestire il proprio tempo e valorizza le opinioni personali. Google, infatti, ha imparato da Sas  che, guarda caso, è oggi seconda nella classifica pubblicata da Great Place to Work. Nei primi dieci posti, su mille multinazionali monitorate, figurano anche NetApp, Microsoft, W.L Gore & Associates, Kimberly-Clark, Marriott, Diageo, National Instruments e Cisco.

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