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ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Gli ultimi terribili giorni di vita di Giulio Regeni

«L'ordine di sequestrare Giulio Regeni è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza», già condannato da un tribunale per percosse e torture mortali su un altro prigioniero. «Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza Nazionale. E fu sempre lui, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per ventiquattro ore».

RACCONTO DELL'ORRORE
È un racconto dell'orrore quello che una fonte anonima ha fatto, tramite un account di yahoo, un po' in inglese e un po' in arabo, alla redazione di Repubblica. Un racconto di un sedicente membro della polizia politica egiziana, che a a suo dire si sarebbe limitato a fare da semplice collettore e veicolo di informazioni da parte di qualcuno che non può esporsi in prima persona.

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A rendere credibile questo racconto che emergerebbe dalle email, di cui sono in possesso il pm Sergio Colaiocco e il legale della famiglia Regeni, c'è il fatto che almeno tre particolari sulle specifiche torture inflitte al giovane ricercatore universitario non era mai stati resi pubblici e sono conosciuti, in Italia, grazie all'autopsia, solo dagli inquirenti italiani. La fonte li conosceva. 

Nella caserma di Giza, continua la fonte, «Giulio viene privato del cellulare e dei documenti e, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell'Ambasciata italiana» viene pestato una prima volta. Chi lo interroga «vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando».

SCIOGLIETEGLI LA LINGUA
Tra il 26 e il 27 gennaio, due giorni dopo il sequestro, «per ordine del Ministero dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar», Regeni viene trasferito «in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City» dove  continua a ripetere di non avere alcuna intenzione di parlare se non di fronte a un rappresentante della nostra ambasciata. «Viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell'Interno su come sciogliergli la lingua. E così cominciano 48 ore di torture progressive», durante le quali Giulio comincia ad essere semi-incosciente. «Viene picchiato al volto», quindi «bastonato sotto la pianta dei piedi», «appeso a una porta» e «sottoposto a scariche elettriche», «lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi». È proprio il dettaglio sulle bastonature ai piedi svelato dall'Anonimo che rende credibile, tra altre cose, tutto il racconto essendo stato evidenziato soltanto dall'autopsia effettuata in Italia che non è mai stata resa pubblica. 

TORTURE: «AL SISI ERA INFORMATO»
Dopo tre giorni di torture il ministro dell'Interno decide di investire della questione «il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l'ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro». «Giulio - continua la fonte - viene colpito con una sorta di baionetta» e «gli viene lasciato intendere che sarebbe stato sottoposto a waterboarding, che avrebbero usato cani addestrati» e non gli avrebbero risparmiato «violenze sessuali, senza pietà, coscienza, clemenza». Anche il dettaglio della baionetta, fin qui ignoto, è confermato dalle lesioni da taglio sin qui non divulgati dell'autopsia effettuata in Italia.

«Regeni entrò in uno stato di incoscienza. Quando si svegliava, minacciava gli ufficiali del Servizio militare dicendogli che l'Italia non lo avrebbe abbandonato. La cosa li fece infuriare e ripresero a picchiarlo ancora più violentemente»«I medici militari visitano il ragazzo e sostengono che sta fingendo di star male. Che la tortura può continuare», con «lo spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie» fino alla morte.  Anche i segni di sigaretta sono confermati dall'autopsia italiana.


LA MESSINSCENA FINALE
Dopo la sua morte, sempre secondo quello che sostiene l'anonimo, «Giulio viene messo in una cella frigorifera dell'ospedale militare di Kobri al Qubba in attesa che si decida che farne». «La decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell'Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja», nelle stesse ore in cui il ministro Guidi arriva al Cairo chiedendo conto della scomparsa di Regeni. «Nella riunione venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall'ospedale militare di Kobri a bordo di un'ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria» dove è stato ritrovato il 5 febbraio.

Viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell'Interno su come sciogliergli la lingua. E così cominciano 48 ore di torture progressive che culmiranno con la morte

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