Giuseppe Tornatore, l'intervista a uno dei maestri del cinema italiano

Si respira l'aria delle grandi occasioni, nella sede milanese di Amazon: l'uscita di La migliore offerta in blu-ray e dvd (dal 15 maggio) è infatti l'occasione per un incontro con Giuseppe Tornatore, uno dei giganti del cinema italiano. Lui si presenta in forma smagliante, cortese, umile, disponibile.

Cedendo al cinismo si potrebbe pensare che sia una posa, come quando risponde che "forse non c'era campo" quando gli ricordano che per oltre due ore è riuscito a non far utilizzare il cellulare agli aspiranti cineasti che, in mattinata, hanno partecipato alla sua master class presso la sede milanese del Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma, appunto, sarebbe cedere al cinismo, perché l'intervista faccia a faccia testimonia l'esatto contrario.
(Attenzione: seguono spoiler.)

Spesso i suoi personaggi subiscono il fascino delle immagini. In pellicole come Nuovo cinema paradiso o L'uomo delle stelle i bambini e le persone semplici rimangono stregate di fronte al cinema. Questa volta, nella Migliore offerta, tocca invece a un uomo colto e raffinato, che però è sopraffatto dalla potenza dei dipinti, non delle immagini in movimento: mi chiedo se questa differenza sia voluta.

Se dicessi che è calcolata sarebbe una bugia. Sono storie che nascono da premesse diverse e si nutrono di contesti diversi, personaggi diversi e approdano a risultati completamente diversi. Detto questo, possono mostrare senz'altro dei misteriosi fili rossi, ma in questo caso sono del tutto casuali. O inconsapevoli: può darsi che in un angolo del mio inconscio ci sia stata questa cosa, ma non sarei onesto se dicessi che ho lasciato sedimentare, sublimato e poi agito in modo consapevole.

Mi chiedo se La migliore offerta sia anche una dichiarazione d'amore nei confronti del cinema. Il protagonista Virgil Oldman (Geoffrey Rush) impara a vivere attraverso una grande finzione di cui è vittima. Insomma: ci sta dicendo che il cinema, grande inganno e macchina di finzione, può fare la stessa cosa, può insegnarci ad avere un rapporto diverso con la vita e l'amore?

Mi piace molto la tua interpretazione e non mi sentirei di dire che sia del tutto fuori luogo, anche se sinceramente non ci avevo pensato. Però effettivamente Virgil riesce a trovare un contatto che non ha mai avuto con il mondo proprio grazie alla finzione che lo coinvolge. E in questo non si può non riconoscere un'allegoria che può avere attinenza con il cinema, o in generale con l'arte del narrare, comprendendo anche il teatro e la letteratura.

Una mia cara amica è rimasta entusiasta del film e allora le ho chiesto cosa l'aveva colpita in modo particolare: mi ha risposto che le è piaciuta l'idea di un protagonista che in fondo non è un brav'uomo e che per certi versi riceve giusta punizione per questo, ma con il quale alla fine ti ritrovi a simpatizzare dal punto di vista umano.

Mi piace moltissimo questa considerazione. Una delle cose che più mi eccitava di questa storia era partire da un personaggio sconveniente, per certi aspetti anche sgradevole, e poi assistere gradualmente a una metamorfosi che alla fine ci consegnasse una persona completamente diversa, con la quale poter avere anche un profondo rapporto di empatia, ma non necessariamente suggerito da un atteggiamento pietistico: il Virgil Oldman che vediamo alla fine del film non ti sta simpatico perché è stato sconfitto. In realtà è un vincente perché ha scoperto qualcosa che non conosceva, ha imparato ad amare. Sì, è stato raggirato, ma ha imparato la cosa più importante e più bella del mondo. A me piaceva questa trasformazione, e insieme ero attratto dalla sfida, difficile, di raccontarla tutta dal suo punto di vista.

Parliamo del personaggio interpretato da Donald Sutherland. Virgil Oldman gli dice che non è un artista perché gli manca il mistero, come se possedesse la tecnica ma gli mancasse quel qualcosa in più che è proprio di pochi. È questa la sua idea sull'arte? E a cosa corrisponde il mistero, sempre che sia possibile definirlo?

Potremmo andare avanti per un anno a parlare di questa cosa... Mettiamola così: un codice espressivo lo puoi padroneggiare con grande facilità. È quello che vuoi raccontare attraverso quel codice che è difficile. Lì è il mistero. Pasolini diceva: "La grammatica del cinema la puoi apprendere in una settimana, è tutto il resto che è difficile da imparare". Ed è così. Paradossalmente, se hai qualcosa da raccontare, se possiedi un mistero, una ferita che ti porta alla narrazione, è più facile che tu riesca a produrre qualcosa di valido senza essere padrone di un linguaggio, che non il contrario. Quindi saper semplicemente utilizzare un codice espressivo non significa niente, se questo non è al servizio del misterioso rapporto che tu puoi avere con la tua sensibilità, messa in relazione con la sensibilità di chi eventualmente vuole usufruire del prodotto del tuo mistero, cioè le storie.

La migliore offerta conferma la collaborazione con Ennio Morricone. Avete sviluppato una consuetudine di lavoro? Per esempio, in che fase della lavorazione di un film le musiche entrano in gioco?

Il nostro metodo è questo: lui lavora subito, prima ancora che io cominci a girare (tant'è vero che abbiamo la musica di film che avrei dovuto realizzare e successivamente sono saltati). Le ragioni sono molte: intanto perché, a dispetto della tradizionale metodologia con cui si musicano i film, e che ha prodotto risultati eccezionali, io ho sempre fatto fatica ad accettare che quando il film ormai esiste gli si sovrapponga qualcos'altro. Per me la musica deve nascere con la sceneggiatura. Seconda ragione, un po' più pragmatica: quando monti un film ti serve la musica. Peggio: ti serve della musica. Peggio ancora: ti serve qualunque musica ti capita in moviola. È un rischio, perché quando monti un film qualunque musica gli appoggi sopra ci sta sempre bene. Questo però ti allontana dalla musica di QUEL film. Il lavoro con Ennio mi consente di aggirare il problema e al massimo mi servirà ridisciplinare la strumentazione, ristrutturarne l'impostazione melodica, ma i temi sono quelli e io ho la musica del mio film, nessun'altra può sostituirla.

Da quanto tempo lavorate insieme lei e Morricone?

Ormai sono 25 anni, e nel tempo il nostro rapporto di lavoro si è arricchito di stima personale e amicizia. Per cui quando decido di fare un film non mi pongo mai la domanda "a chi faccio scrivere la musica". Anche perché sa fare tutto: se ascolti la partitura musicale di "Una pura formalità" o anche "La sconosciuta", non sembra il Morricone che tutti conoscono. In realtà ha molte frecce al suo arco, moltissime, e quindi con lui ti puoi divertire a prendere in considerazione qualunque chance, e lui con la sua maestria si mette al servizio del film, o comunque con me questo fa.
Infine, forse il successo del nostro rapporto è anche dovuto al fatto che non so leggere la musica: io parlo con lui per allegorie, lui trasferisce queste allegorie in un altro codice che è il suo. Per cui io mantengo il mio codice, lui il suo, nessuno invade il campo altrui.

Partiamo dal presupposto che non esiste una ricetta del successo, al cinema, perché altrimenti avremmo solo successi. Ma dovendo ipotizzare gli ingredienti della pozione, lei quali giudica indispensabili?

Davvero non so rispondere a questa domanda. Sulla base di un certo tipo di analisi "La migliore offerta" non aveva le carte per essere un film di grande successo. Quando l'ho cominciato, tutti quelli con cui parlavo mi dicevano che ormai non si possono più fare pellicole così, incassa solo la commedia. Ora, il fatto che "La migliore offerta" abbia avuto successo non vuol dire che questa osservazione sia sbagliata. Se mi avessero detto che il film avrebbe incassato nove milioni di euro io non ci avrei creduto. Pensavo fosse come "La sconosciuta", con solo il vantaggio di uscire sotto Natale. Dunque mi dicevo: se quello ha fatto quattro milioni, questo ne farà quattro e mezzo, forse cinque. E non era un ragionamento sbagliato.

Cosa è successo, allora? Che forse l'amore raccontato come illusione ha colpito il pubblico. Sentivo i ragazzi che si interrogavano: "Ma allora lei lo ama o no?". Ho ricevuto migliaia di domande di questo tipo: in un cinema di Udine un ragazzo mi ha chiesto se alla fine lui la aspetta per amore o per vendetta. Questo argomento ha colpito la gente. Forse dieci anni prima non sarebbe successo e fra dieci anni neanche. Chissà, forse siamo in un'epoca di tali incertezze che persino la sfera sentimentale entra in questo tipo di precarietà esistenziale nella quale ci sentiamo tutti sprofondati. Mi ricordo un messaggio che mi ha mandato una ragazza: "Caro Tornatore sono appena uscita dal cinema. Da stasera non credo mi fiderò più di nessuno dei miei amici. Ma è un bel film".

Uno dei progetti a cui sta lavorando è Leningrad, storia dell'assedio di Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Può darci delle anticipazioni?

Non è morto, ma non è del tutto vivo.

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