Gheddafi, un cadavere eretto a simbolo di vittoria

Le immagini di esultanza degli esponenti del Cnt e immagini di Muammar Gheddafi morto, prese da Al Jazeera e Al Artabiya. ANSA/ TV

Annalisa Chirico

Per il ministro Frattini la fine di Gheddafi sarebbe “una grande vittoria per il popolo libico, un momento di liberazione per il Paese”. Di parere analogo il segretario del PD Pier Luigi Bersani, il quale si augura che “tanto sangue generi democrazia, libertà, amicizia tra i popoli del Mediterraneo”. Almeno su questo governo e opposizione (democratica) parrebbero d’accordo: la soppressione di un uomo a suggellare il debutto della cosiddetta transizione democratica. Del resto la sintonia tra i due è stata una costante nei rapporti con il rais. Quel trattato di amicizia infamante e infame, che regalava al Colonnello un assegno in bianco da cinque miliardi di dollari, ne offre uno spaccato eloquente. Certo, Prodi non si spinse mai al baciamano ripreso dai telegiornali di mezzo mondo. Gesti da “guascone”, non da professorone.

L’esultanza lascia sgomenti perché ogni volta che la sete di vendetta cede il passo alla domanda di giustizia non c’è nulla da festeggiare. È la civiltà, la nostra, che incassa una sconfitta.

Come dimenticare l’immagine di un impettito Saddam Hussein che affrontava con dignità il patibolo quel 30 dicembre 2006? Era l’epilogo di un processo farsa, al quale il dittatore iracheno era arrivato da vivo, catturato dagli americani tre anni prima; ché se a catturarlo fossero stati i suoi connazionali la fine sarebbe stata diversa.

Io Gheddafi avrei voluto vederlo al banco degli imputati, a rispondere degli efferati crimini commessi. Nel quadro di un processo equo ed imparziale. Sarebbe stato un tassello importante nell’affermazione di quella legalità internazionale, che già oggi esiste ma è sovente calpestata in nome degli interessi degli stati nazione o, peggio ancora, della rivalsa della barbarie.

Gheddafi non sarà alla sbarra. E non per il timore di quello che potesse svelare, semplicemente per la brama irrefrenabile di una giustizia violenta e sommaria. Il complotto non c’entra. Gheddafi non ha mai smesso di parlare negli ultimi quarantadue anni, non ha limitato le sue esternazioni neppure negli ultimi sei mesi sotto assedio. Gheddafi non conosceva la viltà, non si può dire lo stesso di tanti dei suoi “amici”. Quelli della repentina mutazione in paladini della transizione giacobina. Volevo dire “democratica”.

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