Germania: lavoro sì ma di serie B

«A quale prezzo è cresciuta la nostra economia nell’ultimo decennio?». In vista del voto d’autunno, la Germania si interroga sugli effetti dell’Agenda 2010, le riforme del mercato del lavoro messe a punto nel 2003 dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder ora fortemente criticate da sinistra e da destra. All’epoca la Germania era «il malato d’Europa», reduce da tre anni di mancata crescita e con 5 milioni di disoccupati. L’Agenda 2010 tagliò il sussidio di disoccupazione e introdusse l’obbligo, per chi lo riceve, di accettare un lavoro dopo lunga inattività. Fra le altre norme fu alleggerito il carico fiscale sui contratti di lavoro atipici e part time. Gli effetti immediati peggiorarono la disoccupazione. Nel 2007 il cambio di rotta: la flessibilità aveva allargato il mercato del lavoro. I salari medi si erano abbassati, ma la locomotiva aveva ripreso a marciare. «Anteposi gli interessi del paese a quelli del partito» esulta oggi Schröder, citato pure da Beppe Grillo (per il quale servirebbe un’Agenda 2010 anche in Italia). «Nuovo inizio o falsa partenza?» ha titolato, invece, la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il quotidiano economico Handelsbatt sottolinea poi come «l’Agenda 2010 ha diviso sia l’Spd sia la società tedesca».

La Germania sarebbe cresciuta lo stesso? Può darsi. L’Agenda 2010 ha però diviso i lavoratori: l’operaio tutelato da contratti stipulati dai sindacati spesso guadagna molto più di un neolaureato costretto ad accettare salari minimi. Uno studio del ministero della Famiglia stima la presenza in Germania di quasi 5 milioni di persone con un «minilavoro», al 60 per cento donne, che guadagnano 450 euro al mese. Per chi scende sotto il livello di sopravvivenza interviene però lo stato, che garantisce 2 mila euro alle famiglie di quattro persone. E tante imprese ne approfittano.

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