La Germania rallenta e mette a rischio l'Europa

La prova più recente che le cose stanno andando più male del previsto arriva da Daimler. La casa automobilistica tedesca, infatti, ha comunicato pochi giorni fa di dover rivedere le previsioni per il 2013. Il primo trimestre dell’anno per il quarter generale di Stoccarda si è chiuso con numeri negativi più bassi anche dei forecast più pessimisti. Per Daimler, infatti, i profitti netti sono calati del 60% (a quota 564 milioni di euro) e i profitti lordi hanno segnato -56% (917 milioni). Il giro d’affari, infine, ha toccato -3%, pari a 5,1 miliardi di euro.

L’azienda tedesca non è sola in un mercato automobilistico in affanno. Complessivamente, le vendite di vetture sono calate del 9,8% nel primo trimestre, secondo l’associazione europea dei produttori automobilistici che ha definito il 2013 il peggior inizio d’anno da quando ha cominciato a raccogliere dati nel 1990. A marzo, le vendite in Germania sono state fortemente negative con -17,1% e anche il segmento luxury, a cui marchi come Mercedes-Benz appartengono, ha perso quella che sembrava una sorta di immunità all’andamento economico e ha registrato una contrazione.

Il rallentamento dell’economia tedesca è stato preceduto da un inarrestatibile declino della produzione industriale, ha fatto notare Carl B. Weinberg, capo economista del gruppo di analisi economica e finanziaria High Frequency Economics : “L’Unione Europea ha fatto dell’Europa un’economia molto più coesa, che va bene quando le cose vanno bene, ma quando le cose vanno male, il moltiplicatore è molto forte in senso negativo. Se arriva la bassa marea, cioè, tutte le navi si arenano”. Un contributo alla situazione è dato senza dubbio dal rallentamento della domanda da parte della Cina e di altri mercati verso cui la Germania storicamente esporta auto, prodotti di consumo, sofisticate macchine e robot industriali e attrezzature da costruzione.

Il feeling, se mai servisse un’ulteriore conferma, è negativo. Lo certifica l’analisi di Ifo, la think tank di Monaco che tiene il polso della fiducia degli imprenditori: l’indice è passato da 106,7 di marzo a 104,4 di aprile. Se dovesse verificarsi ancora un trimestre consecutivo di contrazione, dunque, la Germania sarà considerata ufficialmente in recessione e lo stesso potrà dirsi per Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria e, addirittura Svezia e Finlandia. L’Olanda, intanto, ha già sofferto due trimestri con il Pil in calo. E se la Germania dovesse entrare in recessione, è molto probabile che trascinerà con sè molti altri mercati, anche fuori dall’Eurozona. La Germania e gli altri 26 Paesi dell’Unione, infatti, rappresentano la seconda economia mondiale e il primo partner commerciale degli Stati Uniti. Ulteriori rallentamenti nella ripresa dell’Eurozona, dunque, avranno un impatto preoccupante sul resto del mondo.

Pochi giorni fa, durante un intervento all’Università di Francoforte, George Sorosaveva puntato il dito contro la politica dell’austerity della Germania e il suo ruolo nel peggioramento della crisi che ha investito l’Europa. Ma le cose, ha anticipato il finanziere americano, sono destinate a una svolta negativa dopo l’estate quando, a fine settembre, si terranno le nuove elezioni politiche. “La politica monetaria perseguita dell’Eurozona non tiene il passo con quelle delle principali valute mondiali. Anche la Banca del Giappone, recentemente, si è convertita alla svalutazione della moneta”.

La Germania, invece, è andata “troppo lontano” nel sostenere l’austerità, aggravando la situazione degli altri Paesi europei che non risparmiano critiche alla “severa intransigenza” del suo Cancelliere. Addirittura, anche Jürgen Habermas, uno fra i più influenti pensatori della Germania, in un discorso alla belga Leuven University ha accusato apertamente il suo Paese: “La Germania possiede le chiavi del destino dell’Europa, ma sa anche troppo bene quanto uno stato semi-egemonico possa scivolare nel conflitto”. Da qui l’appello a una maggiore solidarietà all’interno dell’Europa, verso cui la Germania ha un obbligo normativo e l’invito ai Paesi dell’Unione ad “accettare una redistribuzione nel medio e lungo termine nell’interesse collettivo di lungo periodo”.

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