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Il maxisequestro a Formigoni? Metà bluff, metà gogna

Il Corriere della sera di oggi, venerdì 11 aprile, titola: «Villa e soldi sequestrati a Roberto Formigoni, “Un tesoretto a sua disposizione”». La Repubblica rilancia la notizia in prima pagina: «Scandalo Formigoni, sequestrati 50 milioni e la villa in Sardegna». E La Stampa aggiunge: «Maxisequestro per Formigoni, dalla corruzione 49 milioni». Così le cronache della giornata, praticamente ovunque. Le parole d'ordine si ripetono come in un disco rotto: maxisequestro, 49-50 milioni, sigilli, beni, tesoretti...

Di fronte a questa bordata, che cosa può capire il lettore? Capisce che l'ex governatore lombardo, coinvolto dal giugno 2012 in una pesantissima inchiesta che lo vede imputato per corruzione e associazione per delinquere sulle convenzioni con alcuni grandi ospedali privati lombardi (per capirci, lo scandalo della Fondazione Maugeri), è stato concretamente colpito da un sequestro ordinato dal Tribunale di Milano; il lettore capisce, insomma, che gli ufficiali giudiziari sono già arrivati in banche, porti, ameni luoghi di vacanza e hanno apposto i sigilli a beni per quasi 50 milioni di euro, tutti intestati a Formigoni.

Da qui l'insinuazione giornalistica (e il nuovo, pubblico scandalo) sul «tesoretto» o meglio sul «tesorone» accumulato da Formigoni, individuato come «frutto della corruzione». E invece è soltanto un bluff, l'ennesima puntata del grande e disastroso romanzo giudiziario italiano, l'ultimo giro di gogna. Perché quel che è accaduto è completamente diverso da quel che si legge. Ma per capirlo bisogna avere sotto gli occhi non i quotidiani, bensì le carte giudiziarie.

Quel che è accaduto, in realtà, è che il giudice dell'udienza preliminare, dopo aver calcolato per Formigoni e per altri imputati quale fosse la somma potenzialmente frutto degli illeciti, nel caso di Formigoni ha ipotizzato che questa cifra corrisponda a 49.883.208 euro, e quindi ha ordinato alla polizia giudiziaria di sequestrare all'imputato beni «fino alla concorrenza» di quella cifra.

Si tratta, insomma, del classico tentativo di sequestro preventivo, un'operazione tesa a proteggere una serie di beni da qui alla fine del processo, nell'ipotesi della confisca se mai si arriverà alla condanna definitiva. Tutto qui. Però, a meno che poi non si scoprano conti cifrati all'estero, o beni fittiziamente intestati ad altri, e stando all'apparenza, Formigoni non dispone affatto di quella cifra. Non ha beni al sole per 49-50 milioni di euro, come scrivono i giornali: questo è esclusivamente il frutto del calcolo, ipotetico, fatto dalla procura e accolto dal giudice.

Ma a nulla serve il tentativo di difesa dell'indagato. Intervistato dal Corriere, l'ex governatore dice: «Hanno messo sotto sequestro un conto con 18 mila euro e un altro in rosso di 75 mila». Poi Formigoni elenca i beni di sua proprietà, tutti probabilmente già sequestrati: tre vetture, una Panda, una Multipla e una Mito; una piccola casa a Sanremo, ereditata dai suoi genitori; due appartamenti a Lecco, abitati dai suoi fratelli.

Se va bene, quindi, i beni effettivamente sequestrati producono in totale una cifra sideralmente lontana dai 49-50 milioni urlati nei titoli. Eppure anche nell'intervista s'insiste sulle clamorose dimensioni del megasequestro. Il giornalista chiede: «Le hanno messo sotto sequestro beni fino a 49 milioni. Lei è ricco, come fa a negarlo?». Già: come si fa a negarlo? 

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