Fmi e G20, l'Italia nel 2013 perderà l'1,5% di pil

Alla vigilia degli incontri del G-20 e del comitato ministeriale del Fondo monetario internazionale in programma a Washington questa settimana dal 18 al 21 aprile, il Fmi conferma le prospettive di crescita per l’economia mondiale, sostanzialmente stabili intorno al 3,3%.

Eppure, a fronte della relativa stabilità di tali previsioni, nell’analisi che l’organizzazione internazionale presenterà questa settimana alle delegazioni nazionali, per l’Italia il ministro dell’Economia Vittorio Grilli e il governatore Ignazio Visco, emergono tre tendenze di fondo: le economie emergenti e in via di sviluppo continuano a crescere a un ritmo sostenuto, sia pure con una lieve moderazione rispetto al trend recente. Pur risentendo della crisi del mercato europeo, loro principale mercato di sbocco, la previsione è di una crescita aggregata del 5,3% per l’anno in corso (per la Cina è dell’8%), confermando il loro ruolo di traino dell’economia mondiale dal 2009 ad oggi.

Per le economie avanzate, l’analisi del Fmi diventa più articolata. Nel caso degli Stati Uniti, gli effetti del consolidamento “forzato” della politica fiscale “costano” all’economia americana quasi un quarto di punto percentuale di crescita in meno nell’anno in corso rispetto alle precedenti previsioni del gennaio scorso (1,9 rispetto al 2,1%). Il moderato rallentamento risente dell’introduzione automatica dei tagli lineari al bilancio federale (“sequester”) in seguito all’arenarsi di qualsiasi prospettiva di accordo tra la Casa Bianca e il Congresso sulle politiche di finanza pubblica. Tale rallentamento nasconde, tuttavia, il progressivo irrobustimento della domanda privata sospinta dal favorevole andamento dei consumi privati, del mercato immobiliare e di quello del credito che sembrano rinvigorire la sostenibilità di una ripresa apparsa per molto tempo anemica e dipendente dallo stimolo fiscale.

Quest’importante tendenza contrasta, tuttavia, con le previsioni per l’Eurozona per il 2013, che puntano a un nuovo anno di recessione (-0,3%), riflettendo la contrazione sostenuta delle economie periferiche, incluse Italia (-1,5%; una contrazione più elevata rispetto a quella appena riformulata dal governo pari a -1,3%) e Spagna (-1,6%). Proprio l’Eurozona rappresenta la componente meno convincente dell’esercizio previsivo del Fmi che assume un ritorno alla crescita nel 2014: l’Eurozona nel suo complesso si attesterebbe su un 1,1%, con Italia e Spagna a 0,5 e 0,7% rispettivamente.

Nelle attuali condizioni, l’idea che la ripresa nel Sud Europa si possa materializzare a breve desta perplessità poiché trascura il carattere strutturale della crisi in atto e la sua unicità. Con l’Eurozona che consolida le sue finanze abbattendo simultaneamente domanda aggregata, il Nord Europa che sottrae ulteriore domanda al resto dell’Eurozona con crescenti surplus nei conti con l’estero (il surplus della Germania sarà del 6,1% del pil nell’anno in corso), l’assenza di una politica del cambio, le condizioni del credito persistentemente restrittive nella periferia, e, soprattutto in Italia, l’assenza di riforme strutturali, occorrebbe spiegare da dove verrà la domanda per riattivare la crescita. Difficile che, su questo, gli incontri di Washington forniranno alcuna chiarezza

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