Flat tax: perché può essere una tassa equa

Siparietti a parte tra Silvio (Berlusconi) e Matteo (Salvini) con il primo che “brucia” il secondo con un tempismo degno dell’ex Cavaliere della prima ora, cos’è questa flat tax che per l’ennesima volta è sulla bocca di tutti? E, soprattutto, perché non è mai stata oggetto vero di discussione in Italia se non negli slogan pre-elettorali ed elettorali?

Il 13 dicembre, Salvini dirà la sua per l’ennesima volta in una conferenza stampa annunciata da tempo e che il numero uno di Forza Italia ha di fatto “bruciato” il 5 dicembre scorso con il rilancio della “propostissima”, come ebbe a definirla Renato Brunetta con un entusiasmo che sfiorava l’estasi. Questione di primogenitura nell’arena politica italica, anche se a onor del vero quella spetta comunque a Berlusconi che ne parlò già nel 1994 salvo poi accantonarla.

Scaramucce a parte, flat tax, alla lettera “tassa piatta”, è un sistema fiscale non progressivo in cui si applica una sola aliquota indipendentemente dal livello di reddito dei singoli. Berlusconi la vorrebbe al 20%. Salvini scommette sul 15%. Un vero e proprio miraggio in entrambi i casi visti i livelli di tassazione da "rapina a mano armata" del nostro Paese pari al 43,3% del Pil (stando all’ultimo bollettino della Banca d’Italia). Alzi la mano chi non ci metterebbe la firma! Eppure…

La flat tax è osteggiata (e parecchio) dalla sinistra tutta e anche da parecchi esponenti di centro-destra a cominciare dagli economisti liberali e statalisti tra cui lo stesso ex ministro Giulio Tremonti. Motivo: fare parti uguali tra diversi è per il fronte del “no” assolutamente iniquo. E ancora: l’articolo 53.2 della Costituzione recita che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. 

Ergo: qualsiasi tentativo in direzione flat tax dovrà prima di tutto superare l’accezione d’incostituzionalità. Si potrebbe obiettare che la progressività imposta dalla Carta non si riferisce specificatamente alle aliquote, ma alla struttura del sistema fiscale tutto. Ma non è affatto detto che l’interpretazione passi.

Facciamo un gioco, però. Immaginiamo che passi. E che la flat tax sia cosa fatta.

Perché non sia iniqua il guru Alvin Rabushka, che ha riportato in auge una proposta che per prima fu del padre del neoliberismo moderno Milton Friedman (correva l’anno 1956!), immagina una "non-tax area" ossia una soglia minima al di sotto della quale il reddito non è tassato.

Facciamo che quella soglia sia di 10 mila euro?  Benissimo. Ora facciamo che A guadagna 20 mila euro l’anno e B ne guadagna 100 mila. L’aliquota unica la fissiamo al 20%. Che succede? Calcolatrice alla mano, risulta che A paga al fisco 2 mila euro (il 20% di 20 mila – 10 mila) e B ne paga 18 mila (il 20% di 100 mila – 10 mila). In altre parole: la progressività c’è.

Facendo il totalone ossia l’aliquota media, infatti, risulta che quella di A è del 10% mentre quella di B è del 18%. Quanto ci abbiamo messo? 2-3 minuti? E questo è un altro punto da considerare: la semplicità della flat tax.

Sempre Rabushka calcola che negli Stati Uniti compilare la dichiarazione dei redditi costi oltre 100 miliardi di dollari l’anno per un totale di 6,6 miliardi di ore spese. E in Italia? Non ne ho idea però facendo i conti della serva sul totale popolazione dei due Paesi potrei azzardare un 10 miliardi di euro almeno. La nostra è la patria degli evasori & co, per carità, però sono certa che si tratti comunque di una bella cifra.

Che dire! Il discorso è complesso, molto complesso, e non basta certo un post per dissipare ogni dubbio però una riflessione seria sull’argomento credo vada fatta. Senza pregiudizi ideologici. Ci proviamo? 

P.s. Nel mondo sono una quarantina i Paesi che hanno adottato la flat tax compreso l’intero o quasi ex blocco sovietico. La mia Bulgaria, a cui si deve anche il nome di questo blog, viaggia sul 10% dal 2008, mentre la Russia di Putin è al 13%. Anche lì: simpatie (o antipatie nell’ultima caso) a parte, non saranno mica tutti matti? 


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