F1, Gp Corea: le pagelle

10 – Sebastian Vettel. A 26 anni, nessuno è mai riuscito a fare come o meglio di lui. Nemmeno Ayrton Senna, che a 26 anni di Mondiali non ne aveva vinto manco uno, mentre il fenomeno della Red Bull è già a quota tre e presto, prestissimo, magari già in Giappone, salirà a quattro. Consecutivi e straripanti. Nemmeno Michael Schumacher, che di titoli iridati in carriera ne ha collezionati la bellezza di sette e che però a 26 anni era appena (si fa per dire) a quota due. Tutti dietro al Seb della Red, pure Fernando Alonso, che avrebbe potuto pareggiare i conti se al primo anno di McLaren (2007) l'allora ferrarista Kimi Raikkonen non gli avesse fatto lo sgambetto al Gran premio del Brasile. Per la stella spagnola della Ferrari, doppietta Renault, poi il lungo digiuno. Insomma, Vettel über alles, tanto per gradire.

In Corea, un altro mattone nel muro. Un'altra fuga in solitaria che si conclude con l'ormai ricorrente canto di gloria via radio all'indirizzo degli uomini del suo team. Sulla pista che forse dal prossimo anno non vedremo più, Vettel ha vinto tre volte. Anzi, quattro. Al sabato, per aver conquistato l'ennesima pole della sua carriera. All'inizio della gara, per aver saputo tenere a bada i diretti inseguitori nei primi metri della partenza. Al giro 37, grazie a un nuovo allungo all'uscita della prima safety car. E al giro 40, copia più o meno conforme di quanto era riuscito a fare qualche minuto prima, con una vettura della Fia a dettare i ritmi del procedere per l'incidente di cui è stato vittima, tanto per cambiare, il suo ormai ex compagno di squadra Webber.

Vettel vince perché non sbaglia mai nulla e perché ha una macchina che va che è un piacere. Quando tutto gira per il verso giusto come nel suo caso, c'è poco da fare. Se non riconoscere i meriti indiscussi di un pilota che ha dimostrato con i fatti di avere le stigmate del fuoriclasse. Applausi, non fischi. Per sottolineare un talento puro e genuino che spesso si accompagna a un sorriso e a una disponibilità verso il team e la stampa decisamente fuori dall'ordinario per un campione del suo rango. In Giappone per chiudere il discorso mondiale e per guardare al domani. Vettel sta scrivendo la storia dell'automobilismo. E' già grandissimo, ma se un giorno decidesse di mettersi in gioco in un altro contesto (Ferrari?) potrebbe sistemare i conti anche con la leggenda.

9 – Kimi Raikkonen. I tifosi della Ferrari possono dormire sonni tranquilli. Se il Kimi che prenderà albergo a Maranello dal prossimo anno avrà la determinazione e l'irruenza del biennio in Lotus, ci sarà da divertirsi. Anche in Corea, il finlandese ha avuto un passo gara da standing ovation. Partiva decimo ed è arrivato sul traguardo alle spalle di Vettel, dopo aver superato a metà gara il compagno di scuderia Grosjean con una manovra che ha fatto scendere la tristezza al box Lotus, ormai schierato apertamente contro il “traditore” dagli occhi di ghiaccio. Raikkonen è una garanzia. Un asso del volante con un talento grande così. Il duello con Alonso, un segno dei tempi che verranno. Un antipasto gustosissimo che sa di speranza e convinzione.

8 – Romain Grosejan. Freud aiuta, anche in F1. Per il francese della Lotus, bollato dai suoi colleghi di pista fino a qualche mese fa come il pericolo numero uno alla partenza, è arrivato il momento di raccogliere i frutti di un lavoro lungo ed estenuante portato avanti più sul lettino dello psicologo che al volante. Proprio così. Grazie alle continue frequentazioni con un terapista del cuore e dell'anima, Grosjean ha trovato il modo di fare bene senza commettere errori grossolani e pericolosi, per sé e per gli altri piloti. Terzo in qualifica e terzo al traguardo. In Corea, è arrivato per lui il terzo podio della stagione. Per carità, nulla in confronto a Raikkonen, ma pur sempre un buon modo per dimostrare di avere i numeri per prendere le redini della Lotus orfana di Kimi dal 2014.

8 – Nico Hulkenberg. Messaggio ai naviganti in tuta rossa. D'accordo, Raikkonen era il miglior pilota a disposizione per sostituire un Massa in caduta libera, ma tempo una o due stagioni e la musica a Maranello potrebbe cambiare. Questione di carta d'identità. E di risultati. Perché Alonso e Raikkonen non sono due ragazzini e la Ferrari ha voglia di tornare a fare sul serio, quindi chi sbaglia paga e i cocci sono suoi. Il tedesco della Sauber, che non perde occasione per lasciar cadere una lacrimuccia ogni volta che gli si ricorda il mancato passaggio al Cavallino, ha fatto vedere in Corea di essere un grandissimo. E non è la prima volta. Prendere nota e agire di conseguenza, prego.

6 – Lewis Hamilton. Un voto che nasce dalla media tra l'8 che avrebbe meritato il pilota britannico, protagonista di una qualifica da leoni e di una gara accorta e senza sbavature degne di nota, e il 4 che va riconosciuto senza esitazioni alla Mercedes per una strategia di corsa che definire sbagliata è fare un favore grande così. Hamilton pare aver smarrito la verve che lo aveva accompagnato fino al Gp del Belgio. Forse ha preso coscienza che la “prima” con la casa automobilistica tedesca va archiviata senza infamia e senza gloria.

6 – Fernando Alonso. Una gara anonima, quella del pilota spagnolo. Confezionata con pochi sorrisi e tanti mugugni su una macchina che era una lontana parente di quella vista negli ultimi tre gran premi. Fernando scalpita. Vorrebbe e potrebbe fare di più, ma deve piegare la testa e assistere senza possibilità di intervento al dominio assoluto di Vettel. Un po' come Ronaldo fa con Messi da qualche anno a questa parte. Non ci fosse il tedesco, Alonso avrebbe arricchito la sua bacheca di trionfi e trofei da primo della classe. Invece, c'è lui, l'altro, il fenomeno che guida la macchina della lattina e Fernando deve accontentarsi di raccogliere quello che può. Arriveranno giorni migliori?

6 – Mark Webber. Per la stima e l'urgenza di dare assistenza morale a un pilota che è tormentato dalla sfiga dall'inizio della stagione. Roba da non uscire di casa in pieno sole per il timore di venire colpito da un fulmine. All'australiano non gliene va bene una. Tra incidenti, guasti tecnici e fuochi e fiamme che prendono di mira la sua Red Bull sarebbe quasi il caso di aprire una sottoscrizione per regalargli un carico di ferri da cavallo che possano preservarne la salute fisica e mentale da qui alla fine della stagione. Per intendersi, Webber non è un fuoriclasse, non lo è mai stato, ma pensate un po' se Vettel avesse avuto soltanto la metà dei guai che ha avuto il suo compagno di squadra. Altro che libro Cuore.

2 – Gp Corea. Diciamolo chiaro e una volta per tutte: mai più. Prima la melina da dilettanti allo sbaraglio sulla macchina di Webber in preda alle fiamme. Se i commissari in pista avessero aspettato ancora un po' per intervenire alla Red Bull avrebbero consegnato soltanto uno specchietto e l'allettone anteriore sinistro. Poi la visione da “Scherzi a parte”, la Jeep che si materializza sul rettilineo a un centinaio di metri da Vettel, che procedeva a velocità spaziali. Semplicemente, assurdo, impossibile e improbabile. Se a tutto questo aggiungiamo anche la scarsissima risposta del pubblico coreano a un evento che piace ma anche no, ecco che sarebbe il caso che il buon Ecclestone rivedesse la sua decisione di considerare il tracciato anche per il prossimo anno. Va bene la globalizzazione, ma cadere nel ridicolo è un attimo.

@dario_pelizzari

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