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L’eolico? Va costruito in mare

L’eolico? Va costruito in mare

Aumentare rapidamente la produzione di rinnovabili senza compromettere il paesaggio: è possibile con le pale galleggianti. È la tecnologia su cui puntano le imprese del settore, come spiega in questa intervista Toni Volpe, amministratore delegato di Falck Renewables-Renantis.


Su un piatto della bilancia c’è la salute nostra e del pianeta, messe in pericolo dall’inquinamento e dal riscaldamento globale provocati dalle fonti fossili. Sullo stesso piatto va poi aggiunta l’indipendenza energetica, che con i tempi che corrono sarebbe un’importante conquista. Dall’altra c’è la tutela del nostro prezioso paesaggio. Per le fonti rinnovabili trovare un equilibrio non è facile. Ma una soluzione che accontenti tutti serve, e in fretta. Quale? Toni Volpe, amministratore delegato di Falck Renewables, ora ribattezzata Renantis, uno dei maggiori operatori italiani ed europei nel settore delle energie verdi con 568 milioni di ricavi nel 2021 e presente con 62 impianti in Regno Unito, Italia, Stati Uniti, Spagna, Francia, Norvegia e Svezia, è convinto di avere la risposta giusta: l’eolico flottante. Come chiarisce in questa intervista.

Intanto, quali sono i principali ostacoli che incontrate nella realizzazione di impianti eolici o fotovoltaici?

Facciamo un passo indietro e torniamo al 2018-2019: allora l’Italia e l’Europa si erano rese conto che era giunto il momento di far ripartire la «macchina» dello sviluppo delle energie rinnovabili, che aveva avuto il suo picco nei primi anni del 2010 e poi si è sostanzialmente fermata sia dal punto di vista delle autorizzazioni, sia sul fronte della catena di fornitura. Chiaramente con il Green Deal europeo e poi con l’emergenza dell’impennata dei prezzi del gas e della guerra in Ucraina, c’è stata in questi ultimi anni una forte accelerazione e l’apparato burocratico si è trovato impreparato. Come noi in tanti si sono messi a sviluppare nuovi progetti e oggi abbiamo impianti per molti gigawatt in attesa di autorizzazione e pochissimi che vengono analizzati e men che meno approvati e ancora meno costruiti: un paio di gigawatt all’anno quando ne servirebbero cinque volte tanto per raggiungere gli obiettivi che l’Italia si è data e si è impegnata nei confronti dell’Europa.

E in particolare per Falck Renewables, qual è la situazione?

Noi abbiamo in attesa di autorizzazione impianti a terra in Italia per 1,5 gigawatt, per lo più fotovoltaici, che corrisponderebbero a un investimento di 1,2 miliardi di euro. Le domande risalgono al 2019 e a quasi quattro anni di distanza non abbiamo ancora potuto completare l’iter. Qualche progetto ci è stato autorizzato, come l’impianto agrivoltaico di Landolina
a Scicli in Sicilia, per gli altri siamo in attesa.

Quali sono gli enti che più rallentano il processo di autorizzazione?

Non ce n’è uno in particolare. La legge ha previsto un processo di autorizzazioni unico in cui confluiscono i pareri di tutti gli enti interessati. Quindi la velocità dell’iter è condizionata dall’ente che in quel caso particolare è il più lento, e dalla capacità dell’ente che gestisce il processo di selezionare quelli principali e quelli meno. Poi c’è il tema delle semplificazioni introdotte dai governi passati, che sono utili ma non hanno rivoluzionato alla radice il sistema delle autorizzazioni, rivelandosi anche un po’ confusionarie e non risolutive.

Se un progetto ottiene tutti i semafori verdi, l’ente locale ha ancora qualche «arma» per bloccarlo?

Tutti gli enti hanno l’«arma» dello stallo: non ti rispondono. Ti lasciano in un limbo e passano gli anni. Del resto, se un ente non risponde entro i tempi previsti dalla legge non deve pagare certo una penale. Ma devo anche riconoscere che spesso i ritardi non sono per opposizione o cattiva volontà, ma per mancanza di personale a fronte di una montagna di richieste.

Anche all’estero è così?

Sì, non si tratta di un fenomeno solo italiano. In Spagna vediamo la stessa cosa. Il governo di Madrid entro il gennaio 2023 deve dare una risposta a decine e decine di progetti di impianti rinnovabili e non ha il personale sufficiente per farlo. La verità è che mentre l’industria si è messa di buona lena dal 2018 in poi a chiedere permessi, e mentre gli sviluppatori si sono moltiplicati a dismisura, sui tavoli degli amministratori pubblici si sono formate pile di carte. E più gli iter si allungano, più i ritardi si accumulano e la pila cresce.

Ma questi ritardi poi non creano a loro volta un ulteriore problema: cioè che gli impianti previsti del progetto diventino obsoleti?

È così, soprattutto in campo eolico. Pensi che in Francia abbiamo costruito di recente un impianto: la richiesta era partita nel 2009 e il modello di pala previsto dal progetto era ormai vintage, fuori produzione. Piuttosto che rifare tutto daccapo, però, sono andato dalla casa costruttrice, pregandola di rimettere in produzione quel generatore per noi e per altri clienti nella nostra situazione. Con il risultato di aver dovuto installare pale meno efficienti di quelle disponibili oggi.

Quindi su quale tecnologia conviene puntare per fare in fretta?

L’eolico marino flottante, cioè impianti galleggianti, costruiti a chilometri dalla costa, che danno un contributo forte alla domanda di energia e possono essere realizzati nel giro di circa un paio di anni dopo l’ottenimento di tutte le autorizzazioni. Noi in Italia, tra Puglia, Calabria e Sardegna, abbiamo impianti per 5,5 gigawatt in sviluppo abbastanza avanzato. Coprirebbero da soli, nel 2030, il 5 per cento del consumo nazionale di elettricità.

Quanti modelli di questo tipo sono operativi nel mondo?

Sono pochi e piccoli: il movimento globale dell’eolico marino galleggiante è partito da poco. In Scozia sono state aggiudicate aste per 25 gigawatt e noi partecipiamo a tre progetti. Siamo l’unica azienda ad aver preso tre parchi e l’unica italiana.

Ma questi progetti non sempre sono ben accetti: che cosa direbbe a Christian Solinas, presidente della Sardegna, una regione che fa la guerra ai parchi eolici in mare?

Gli impianti rinnovabili, e in particolare, l’eolico marino galleggiante, sono una grande opportunità per la Regione. Lo sviluppo di parchi eolici marini permette l’attrazione di investimenti a livello locale, lo sviluppo di nuove professionalità e la creazione di posti di lavoro sul territorio. Si stima infatti che un tipico progetto galleggiante da 1 gigawatt, in grado di produrre l’elettricità equivalente al consumo di 960 mila famiglie, crei circa 1.200 posti di lavoro annuali nella produzione e nella costruzione. La fornitura di energia pulita permette poi di raggiungere gli obiettivi che il nostro Paese si è posto e contribuisce all’indipendenza energetica regionale. L’eolico marino è una tecnologia tra le meno impattanti a livello ambientale e visivo. Le pale sono infatti posizionate lontane dalla costa, oltre i 20 chilometri.

Nonostante tutte le vischiosità che frenano le rinnovabili, lei resta ottimista? Pensa che ce la faremo a centrare gli obiettivi del nostro Piano nazionale per l’energia e il clima, il Pniec, e di RepowerEu?

Per quanto riguarda la prima domanda, sì, io rimango assolutamente ottimista perché c’è la volontà politica di fare di più, un’intenzione positiva di semplificare le procedure, la voglia dell’industria di investire. Ormai l’energia delle rinnovabili costa meno di quella prodotta con le fonti fossili ed è evidente a tutti che è positiva per l’ambiente e per la nostra indipendenza energetica. Alla fine l’accelerazione ci sarà. Ma alla seconda domanda devo rispondere che non ho alcuna evidenza che riusciremo a raggiungere gli obiettivi previsti per il 2030, anzi ho evidenze del contrario. Il Pniec, che ormai è superato, prevedeva un raddoppio dell’eolico e una triplicazione del fotovoltaico. Sarà dura arrivarci, a questi ritmi.

Non c’è il pericolo di favorire un’industria che non è europea, soprattutto in campo fotovoltaico?

In effetti non si sta facendo abbastanza per avere una ricaduta industriale di questa rivoluzione sui nostri Paesi. Manca una politica che miri a convertire questa enorme massa di investimenti nel cambio del mix di generazione energetica in una opportunità industriale in Italia e in Europa. Si sta spingendo molto sugli obiettivi di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, ma come questo si traduca in un’industria che crei posti di lavoro, nuove competenze e ci renda indipendenti non è altrettanto chiaro. In altre parole, una cosa è produrre energia con un pannello solare, altro è produrre il pannello a casa nostra. E anche nell’eolico parte della componentistica non è fatta in Europa. Nel nostro piccolo proviamo a coinvolgere al massimo le manovalanze locali.

Eppure esistono piani europei per incentivare la realizzazione di fabbriche di pannelli.

È vero, ma siamo ancora molto indietro rispetto ai giga previsti.

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