Emmanuelle, più di cinquanta sfumature

Questo è un obituary vero. È morta Sylvia Kristel a sessant’anni, cifra tonda, del resto i suoi numeri erano sempre stati facili. Un film. Uno solo. Emmanuelle, che nessuno in Italia ha mai saputo scrivere ma che tutti hanno visto – e copiato: terra di taroccatori, la nostra, presero l’originale e ne fecero una serie nuova e sporcaccionamente esotica, Emanuelle nera, col nome scritto sbagliato non solo per ragioni di royalties.

Sylvia-più-nota-come-Emmanuelle è stata la pioniera di tutto, l’inizio. Chiedetelo a E.L. James e alle sue cinquanta sfumature, un trench e un’autoreggente allora bastavano, non c’era bisogno di contratti tra dominatore e dominata. Era il principio dei memoir (di Emmanuelle Arsan, vedi un po’), del pornosoft consentito, dell’eros patinato su cui tutti gli Adrian Lyne e i Paul Verhoeven a venire hanno costruito l’immaginario anni ottantanovanta da cui ancora non usciamo – il sesso nei film sempre da vestiti, la vasca con la schiuma e le candele accese, il sassofono che poi Bill Clinton.

Era la finta liberazione delle donne fatta da una donna libera, che poi è invecchiata, si è morbidamente ingrossata, si è ammalata e ciao, il mio numero l’ho fatto. Io la ricordo soprattutto per Amore in prima classe, capolavorissimo di Salvatore Samperi con Enrico Montesano terrone che sale in treno con una palla da spiaggia. Ma questo è un problema mio.

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