Emergenza dietro le sbarre, tre idee svuota-carceri

La contabilità è macabra, ma va aggiornata perché è uno scandalo che deve essere denunciato. Nelle 206 carceri italiane i morti dall’inizio dell’anno sono stati 118, di cui 41 suicidi. Contando fra i secondi anche alcuni agenti della polizia penitenziaria: perché l’inferno negli occhi degli altri, è evidente, alla fine entra anche dentro di te.

È anche questo il disastro del sistema penitenziario che il ministro della Giustizia Paola Severino ha trovato, nel novembre 2011, quando si è insediata. Con un vantaggio rispetto ai suoi predecessori. Severino, questo disastro, lo conosce bene: il ministro insegna diritto penale all’Università Luiss di Roma e, tra le sue buone abitudini, ha sempre avuto quella di portare a visitare le prigioni i suoi studenti, futuri avvocati e magistrati. Affinché vedano e sappiano.

I suoi ultimi provvedimenti hanno alleggerito la situazione, ma non l’hanno rimediata. Sono 66.271 i detenuti, stipati in celle costruite per ospitarne appena 45 mila. Numeri sconfortanti: 278 detenuti in Val d’Aosta su 181 posti; 7.281 detenuti in Sicilia contro i 5.465 posti letto. Nel Lazio c’è il picco massimo: 7.121 reclusi per 4.839 posti effettivi. In Lombardia ci sono 9.394 reclusi e 5.389 brandine.

Ma il vero paradosso viene fuori dai certificati penali dei detenuti. E anche dai passaporti: perché quasi 24 mila di loro sono stranieri, quasi tutti extracomunitari, e dopo aver stipulato un trattato con il paese di provenienza potrebbero essere rispediti nella loro terra da subito dopo la condanna. Ne resterebbero 42 mila: il problema delle carceri sarebbe praticamente risolto.
Oppure si potrebbe seguire un altro criterio: accorciare la detenzione per chi ha meno di tre anni da scontare e ha dimostrato in maniera concreta di poter essere riammesso alla società civile. I detenuti con condanna definitiva che hanno meno di tre anni da scontare sono 23.372: tra di loro, certamente, c’è chi è meritevole di una seconda possibilità.

La terza possibilità riguarda i detenuti in attesa di giudizio: oggi sono il 43 per cento dei reclusi, il 20 per cento è in attesa di una prima sentenza. Molti di loro, quelli ovviamente meno pericolosi, potrebbero aspettare la condanna agli arresti domiciliari.

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