Il voto e l'affluenza certificano la crisi dei partiti

La premessa è obbligatoria. Oggi, come in tutti i post-voto, non troverete un leader di partito che sia uno usare la parola «sconfitta». Ma se c'è mai stata un'elezione, una chiamata alle urne forse per queste elezioni amministrative si può dire che alla fine hanno perso tutti. Il segnale infatti più rilevante del voto è stata l'affluenza che in tutte le grandi città, per la prima volta nella storia, è stata sotto il 50%.

A Milano ad esempio a votato solo il 47% degli elettori, a Roma il 48,8%, a Torino il 48%. Numeri che raccontano da soli una sfiducia verso al politica degli elettori mai registrata prima d'ora. E che spingono a trattare con i guanti, soprattutto limitando eventuali entusiasmi, i risultati. Che per certi versi, anzi, per certi partiti sono chiari.

Il Movimento 5 Stelle infatti si presentava alla vigilia delle elezioni con due città nel suo sacco: Roma, con Virginia Raggi, e Torino dove nel 2016 al ballottaggio vinse Chiara Appendino. Ecco: i grillini escono devastati: non solo perdono le due poltrone ma in entrambi i casi non arrivano nemmeno al ballottaggio, anzi. A Roma la «Sindaca» corre sul filo dei voti una personale battaglia per il quarto posto con Carlo Calenda. A Torino Valentina Sganga naviga attorno al 10%. Per decenza non riportiamo le percentuali di Milano ed altre città, da comiche. Da notare la reazione del nuovo capo politico Giuseppe Conte che ha scaricato tutto e tutti parlando di un «percorso di ricostruzione del partito appena iniziato e che non poteva dare risultati in questo voto…». La realtà è che senza il Pd i pentastellati non esistono. La triste fine del partito anti-sistema costretto ad allearsi con il partito del sistema per eccellenza per sopravvivere.

Non è andata bene nemmeno al centrodestra, come ha ammesso anche Salvini. La batosta di Milano, con Bernardo fermo poco sopra il 30% deve far riflettere anche se di fatto delle 5 grandi città la coalizione non ne aveva una e non ne avrà una nemmeno questa volta. La conferma di Trieste, della Regione Calabria, i buoni risultati in città più piccole non possono distogliere l'attenzione da un problema di credibilità che, soprattutto nella scelta dei candidati, è stata persa. Di sicuro l'operazione «sindaci Civici» non ha pagato. Le prossime due settimane saranno importanti per capire dove andare il centrodestra, anzi, che coalizione sarà.

Enrico Letta invece canta vittoria: «Abbiamo dimostrato che la destra è battibile. Questa grande vittoria del Pd e del centrosinistra rafforza l'Italia ed il governo: siamo tornati in sintonia con il Paese». Verrebbe da ricordargli che la sintonia non pare molto stretta dato che nel collegio di Siena dove Letta ha superato il candidato di centrodestra nelle suppletive della Camera ha votato solo il 35% degli aventi diritto. Due terzi della gente lo ha ignorato, e questo non ci pare proprio sintonia.

Sarà il caso che il segretario del Pd si concentri sui ballottaggi, soprattutto su quanto accadrà a Roma dove ha schierato nientemeno che l'ex Ministro dell'Economia, Gualtieri finito dietro Michetti. E nel secondo turno tutto può succedere.

A guardar bene forse un vero vincitore c'è. E se ne sta a Palazzo Chigi, sopra la politica, oltre la politica, e forse proprio per questo molto piacere gradito alla gente. Poche settimane fa abbiamo posto una domanda ad alcuni politologi ed esperti: «cosa votano i Draghiani?». Oggi gli elettori forse ci hanno risposto: «Nessuno!»

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