Depeche Mode a Roma: quando la grande musica sopravvive alla morte

Nei concerti delle band con diversi lustri sulle spalle, spesso i nuovi brani sono vissuti dal pubblico quasi come una formalità necessaria per arrivare finalmente ai grandi classici del passato. Non è stato così per l’esibizione di ieri dei Depeche Mode allo Stadio Olimpico di Roma, nel primo dei tre concerti estivi negli stadi (il 14 luglio saranno a Milano e il 16 a Bologna), dove i nuovi brani dell’eccellente Memento Mori, già metabolizzati e imparati a memoria dai fan, si amalgamavano alla perfezione con gli evergreen della ricca produzione discografica del duo di Basildon, coprendo un quinto della scaletta. Mentre una volta il rock e l’elettronica erano due mondi a parte, con propri codici e stilemi, i Depeche Mode sono stati i primi a infrangere queste barriere e a unire con la loro musica intensa, sensuale, avvolgente e dark, pubblici completamente diversi tra loro. Il gruppo inglese, inserito nel 2020 nella prestigiosa Rock and Roll Hall of Fame, ha affinato negli anni uno stile inconfondibile, nel quale le tastiere e i sintetizzatori di Andy Fletcher, scomparso il 26 maggio 2022 a soli 60 anni, hanno sempre giocato un ruolo centrale. Fletch, come lo chiamavano affettuosamente i suoi amici, si è sempre occupato anche della parte manageriale della band ed è stato il vero collante del trio. Andy, grazie al suo carattere amichevole e giocoso, è stato fondamentale per tenere unito il gruppo nonostante i periodi cupi che ha attraversato, soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta, quando i litigi interni e i ben noti problemi di droga e di depressione del frontman (che nel 1996 ha tentato perfino il suicidio) hanno rischiato di distruggere i Depeche Mode.

Un'eredità ultraquarantennale che adesso grava interamente sulle spalle dei soli Dave Gahan e Martin Gore, che ieri sera allo Stadio Olimpico si sono dimostrati più uniti che mai, soprattutto nell'emozionante versione acustica di Waiting for the night, eseguita come primo bis avvicinandosi all'estremità del palco. Un momento di grande intensità emotiva, ascoltato in religioso silenzio dai 55.000 dello Stadio Olimpico, che si è concluso con un lungo abbraccio tra i due membri superstiti, entrambi con i volti solcati dal tempo, ma vivi e vitali più che mai. Un altro dei picchi emotivi della serata è stata World in my eyes (dal capolavoro Violator del 1990), accompagnata per tutto il tempo dalle foto in bianco e nero di Anton Corbijn con le più disparate espressioni di Andy Fletcher. «Fate un grande applauso per il signor Andy Fletcher», chiede a gran voce il frontman alla fine della canzone, come se Fletch fosse ancora dietro le sue spalle, seminascosto dalle imponenti tastiere. In effetti l'impressione è che il fantasma del compianto musicista e amico fosse presente sul palco per le oltre due ore del concerto, già a partire dalle cupe My cosmos is mine e Wagging tongue, che sono anche i primi due brani dell'album Memento Mori.Mentre nella prima Gahan auspica un mondo senza dolori nei versi «Niente pioggia, niente nuvole / niente dolore, niente sudari / nessun ultimo respiro, nessuna morte insensata», nella krafterkiana Wagging Tongue il senso della mancanza è ancora più esplicito nelle parole «Ti incontrerò vicino al fiume/ O forse dall’altra parte/ Ti risulta difficile deglutire quando guardi morire un altro angelo». L'entusiasmo che ha scatenato ieri sera allo Stadio Olimpico il recente singolo Ghosts Again, che, con i suoi sintetizzatori modulari anni Ottanta e la sua memorabile melodia ammantata di malinconica, è un brano che cattura perfettamente l'essenza artistica della band di Basildon, è la prova che i Depeche Mode non sono solo un gruppo che sta celebrando un repertorio synth pop impareggiabile per qualità e quantità, ma un duo che ha ancora numerose frecce al suo arco.

I tre maxischermi del palco, dove al centro spiccava una grande M, hanno accompagnato la performance con il suggestivo video in bianco e nero, nel quale Gore e Gahan giocano a scacchi come la Morte e il Cavaliere ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. E sempre a proposito di morte, è un fatto notorio che gli antichi romani avevano predisposto il rito del “memento mori”: l’imperatore o il generale vittorioso di ritorno da una campagna di conquista, mentre sfilava per le strade sulla biga per celebrare il suo trionfo, aveva sempre accanto uno schiavo che gli sussurrava all’orecchio “ricordati che morirai”. Un rituale, nato con l'obiettivo di mantenere i piedi saldamente per terra anche nei momenti di maggiore esaltazione, che ha affascinato Dave Gahan e Martin Gore, tanto da sceglierlo, durante il lockdown forzato dell'emergenza pandemica, come titolo del loro quindicesimo album in studio, prima ancora della scomparsa prematura di Andy Fletcher. Un album con un suono cupo, solenne, elegante, stratificato, con improvvise aperture melodiche, che si chiude magistralmente con Speak to me, che anche dal vivo, ieri sera, ha confermato di essere una canzone di abbacinante bellezza, con il suo crescendo epico e con l'interpretazione vocale da brividi di Dave Gahan, che racconta la difficoltà nell'amare una persona quando l'immagine che vediamo nello specchio ogni mattina non è all'altezza delle nostre aspettative (anche se sei un artista ricco, di successo e con milioni di fan in tutto il mondo): «Ti deluderò/ Ho bisogno di sapere che sei qui con me/ Capovolgi tutto, te ne sarei grata, ti seguirei ovunque/ Ti ascolto, sono qui adesso, mi sono ritrovato».

Dave Gahan, dopo qualche difficoltà di intonazione nei primi due brani, ha dimostrato ancora una volta, dopo aver scaldato la voce, di essere un frontman straordinario, grazie a una fisicità seconda solo a Mick Jagger, a un'eleganza da ballerino classico e a una voce ricca di armonici e di blues, in grado di trasportarti in una dimensione altra per oltre due ore. C'è sempre qualcosa di sinistro, inquietante e pericoloso nella musica dei Depeche Mode, che è, al tempo stesso, uno straordinario invito alla vita, al godimento, al "qui ed ora", come nelle esaltanti versioni live di Everything counts, Enjoy The Silence, I just can't get enough e Personal Jesus, che hanno trasformato lo stadio romano in un mix tra un karaoke collettivo e un'enorme discoteca all'aperto. Dave e Martin, a 61 anni, non hanno più nulla da dimostrare e, proprio per questo, si godono l'abbraccio collettivo con i 55.000 "devoti" (così si autoproclamano i fan del duo di Basildon), supportati in modo eccellente da Christian Eigner alla batteria e da Peter Gordeno ai sintetizzatori, basso e pianoforte, che danno luce ai nuovi arrangiamenti dei brani. La musica composta da Martin Gore, ispirato come ai tempi d'oro e applauditissimo nelle emozionanti interpretazioni di Question of lust e Soul with me, non è certo consolatoria, né tanto meno spensierata, ma probabilmente il motivo del successo così duraturo del gruppo di Basildon è da rinvenire nella schiettezza dei testi e nell'atmosfera onirica, magica e minacciosa delle loro canzoni, capaci di condurti in un luogo dove il confine tra incubo e sogno è sempre più labile. Dopo aver venduto oltre 100 milioni di dischi e suonato per più di 35 milioni di fan in tutto il mondo, i Depeche Mode non si sono fermati dopo la perdita del loro amico, si sono fatti forza l'uno con l'altro e l'album e il tour di Memento Mori (che farà tappa in Italia anche nella primavera del 2024 con un concerto a Torino e due a Milano) rappresentano un nuovo capitolo di un romanzo avvincente, che promette di riservarci ancora numerose sorprese.


La scaletta del concerto dei Depeche Mode a Roma (12/7/23)

My cosmos is mine
Wagging tongue
Walking in my shoes
It’s no good
Sister of night
In your room
Everything counts
Precious
Speak to me
Question of lust
Soul with me
Ghosts again
I feel you
A pain that I’m used to
World in my eyes
Wrong
Stripped
John the revelator
Enjoy the silence
BIS
Waiting for the night
Just can’t get enough
Never let me down again
Personal Jesus

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