Decreto dignità: ecco quanti danni può fare

Il suo tono di voce, pacato ma deciso, sale di appena qualche decibel quando il discorso cade sulla parola "dignità": "Non capisco proprio perché l'hanno chiamato così, decreto Dignità. Mica facciamo cose indegne noi: tutti gli strumenti che utilizziamo con i nostri dipendenti li abbiamo concordati, anche a fatica, con i sindacati che fino a prova contraria difendono i diritti dei lavoratori". Massimo Bottacin, 45 anni, direttore risorse umane e information technology della Stiga di Castelfranco veneto (Treviso) è molto preoccupato: con il Decreto dignità, varato il 2 luglio dal governo Lega-Movimento 5 stelle ed entrato in vigore il 14, la sua azienda dovrà ridimensionare la produzione italiana, se il provvedimento non verrà modificato.

Specializzata in tagliaerba e strumenti per la cura del giardino, la Stiga fattura 500 milioni di euro, ha impianti in Italia, Slovacchia e Cina e vende in 70 Paesi. È di proprietà di alcuni fondi ed è il frutto dell'unione, nel 2001, di quattro aziende: due italiane, una svedese e una inglese. L'azienda rappresenta il caso tipico di un'impresa minacciata dal nuovo decreto: ha una produzione stagionale, lavora a pieno regime in inverno, mentre da metà luglio fino a metà settembre la fabbrica veneta è ferma.

Quanti dipendenti avete in Italia?
"Circa 730 a tempo indeterminato, di cui 150 a part-time verticale che lavorano 7-8 mesi all'anno. E poi un numero variabile di lavoratori a tempo determinato che arriva fino a 150-200 persone nei mesi di picco di produzione, cioè gennaio e febbraio. Iniziamo ad assumerli in ottobre, il loro numero sale fino ai primi mesi dell'anno per poi diminuire e azzerarsi in tarda primavera-estate. Abbiamo cercato di tenere al minimo necessario il numero di lavoratori a termine, meno di così però è impossibile".

I lavoratori a termine sono pagati come quelli a tempo indeterminato?
"Sì, sostanzialmente la paga è la stessa. In media si aggira sui 1.700 euro lordi al mese".

Quando questi dipendenti a termine o con il part-time verticale non sono in azienda, che cosa fanno?
"Molti dei lavoratori a termine sono stranieri: abbiamo 16 nazionalità diverse, vengono dall'Africa e dai Paesi dell'Est. Per fortuna qui in Veneto la disoccupazione è bassa e in tanti lavorano nel turismo durante l'estate. Oppure tornano nei Paesi di origine per riunirsi alle famiglie. Per il resto si tratta soprattutto di donne, che durante la pausa estiva si prendono cura dei figli o dei nipoti. In pratica riescono ad adattare il loro ritmo di lavoro al ciclo scolastico".

In questo momento la vostra fabbrica italiana è vuota: com'è possibile, avendo dipendenti a tempo indeterminato?
"Abbiamo sfruttato tutti gli strumenti possibili per aumentare la flessibilità: banca delle ore, straordinari, ferie concentrate nei mesi estivi. Tutto concordato con i sindacati, che conoscono benissimo la situazione delle aziende come la nostra legate alla stagionalità della domanda".

Che cosa, nel Decreto dignità, rompe questo equilibrio?
"La causale, che fu abolita nel 2014 ed è ricomparsa nel decreto: aumenta il contenzioso possibile con i lavoratori".

Si spieghi meglio.
"Io assumo Tizio con un contratto a termine, che per legge può avere una durata massima di 12 mesi, senza causale. L'anno dopo lo richiamo e rinnovo il contratto alle stesse condizioni. Ma con il ritorno della causale non è più così: per rinnovare un contratto a termine devo specificare che lo faccio per coprire un picco di produzione non programmabile. Ora, si immagini come faccio a dimostrare davanti a un giudice che l'aumento della domanda estiva di tagliaerba non era programmabile! E quindi le imprese come la Stiga si trovano ad affrontare il rischio di un contenzioso con i lavoratori. Nel nostro caso, un giudice potrebbe condannarmi all'assunzione a tempo indeterminato full time di 150-200 persone. Capisce bene che è un rischio impossibile da affrontare".

Ma ci sarà un'alternativa...
"Sì, ogni anno dovrei assumere a tempo determinato 150 persone diverse, ed è quello che farò nel 2019 se le cose non cambieranno. Peccato che dopo qualche anno non troverei più nessuno. Senza contare che dovrei insegnare daccapo a ciascuno che cosa bisogna fare in fabbrica. Insomma, alla fine si smetterà di assumere persone a tempo determinato senza far aumentare quelle a tempo indeterminato: ecco perché gli imprenditori sostengono che con questo provvedimento l'occupazione si riduce. Se sul territorio si trovano delle soluzioni che vanno bene a imprese e sindacati, lo Stato non dovrebbe calare dall'alto in modo dirigistico provvedimenti che cancellano il principio di sussidiarietà".

Però fino al 2014 la causale c'era: come facevate allora?
"La causale prevista fino al 2014, il cosiddetto 'causalone', era meno rigida delle causali inserite nel Decreto dignità e quindi meno pericolosa dal punto di vista del contenzioso. Noi abbiamo sempre cercato di rispettarla e scriverla nel migliore dei modi, cosa riconosciuta anche da alcuni giudici. Malgrado questo e malgrado fosse più flessibile, abbiamo sofferto del contenzioso e ci siamo trovati qualche volta soccombenti. Ecco perché le causali previste dal Decreto dignità, più rigide, rendono di fatto impraticabile il contratto a termine".

Oltre alla causale, il decreto ha inserito altri provvedimenti negativi?
"Oggi il contratto a termine ha un aggravio dell'1,4 per cento di contributi sociali. Il decreto prevede che a ogni rinnovo si aggiunga un ulteriore 0,5 per cento".

Non mi sembrano grandi cifre.
"Beh, dopo cinque anni dovrei spalmare su 150 persone un aumento di più del 4 per cento... Non è poco".

Anche in Slovacchia e in Cina avete una quota di lavoratori a termine?
"In Slovacchia su 200 dipendenti a tempo indeterminato ce ne sono 450 a termine nel picco stagionale. In Cina su 150 a tempo indeterminato ne abbiamo 200 a termine".

Le leggi sono diverse da quella italiana?
"No, sono molto simili. Anzi lo erano, prima del Decreto dignità...".

Lei vota Lega?
"Per chi voto non ha importanza, le stesse critiche le formulerei indipendentemente dal colore politico di chi avesse varato un simile provvedimento, perché la critica è relativa ai suoi effetti e alle sue conseguenze, non alla forza politica che se ne è fatta promotrice. Noi facciamo impresa, non propaganda politica".

(Articolo pubblicato sul n° 33 di Panorama in edicola dal 2 agosto 2018 con il titolo "Ecco quanti danni può fare il decreto dignità")


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