May 09 2012
Dal 5 maggio 2002 al 6 maggio 2012: tutto è cambiato, nulla è cambiato
Laterza Stella
Di quel 5 maggio ricordo tutto. Ricordo naturalmente che la Juve vinse 2 a 0 contro l’Udinese, gol di Trezeguet e Del Piero, mentre l’Inter faceva harakiri a Roma, perdendo 4 a 2 contro la Lazio. Ricordo del mio orecchio destro attaccato alla radiolina e di essere stato il primo ad aver dato la notizia a tutta la curva del gol di Poborsky. Ricordo dell’emozione di uno scudetto meraviglioso perché inatteso, dei caroselli dopo la partita, degli sfottò all’Inter di Moratti e Ronaldo.
Dieci anni e un giorno dopo, il 6 maggio 2012, non ero a Trieste a celebrare il 30esimo scudetto della storia bianconera. Così come nessuno dei miei tre fidati compagni di curva. Gli anni passano e i doveri della vita ti obbligano ad assumere un atteggiamento più sedentario (ma non per questo meno coinvolto) rispetto al concetto di tifo. Così ora c’è chi ha dei bambini piccoli e non si può permettere il lusso di andare allo stadio, chi è emigrato in America, chi lavora anche il sabato e la domenica. Nessuno di noi, però, si è perso in televisione l’ultimo sigillo dei ragazzi di Conte di questa stagione irripetibile. E’ finita 2 a 0, mentre sull’altro campo scudetto – quello di San Siro – il Milan cadeva 4 a 2 contro l’Inter.
Guarda te il caso, alle volte. Stesso giorno (o quasi), stessi risultati, e alla fine Juve ancora campione. Titolo numero 30. Vien quasi da pensare che in questi dieci anni in fondo nulla sia cambiato. E invece…
E invece nel mezzo c’è stato di tutto. C’è stata la tristissima finale di Manchester, i due scudetti della gestione Capello, ma soprattutto c’è stata Calciopoli e tutto ciò che ne è seguito. Umiliati e offesi abbiamo provato ad andare sopra tutto e sopra tutti. Abbiamo digerito i processi sommari, i titoli scandalistici dei giornali, gli scherni di chi nemmeno conosce la differenza fra l’articolo 6 e l’articolo 1 della giustizia sportiva, e poi le farneticazioni di Cobolli Gigli, le passeggiate di Tiago, i passaggi in orizzontale di Poulsen. Per un attimo abbiamo pensato che mai nella nostra vita avremmo potuto rivivere emozioni come quelle del 5 maggio.
Poi, come in una bellissima primavera calcisitica, è arrivato Andrea Agnelli, e Antonio Conte dopo di lui. E abbiamo capito: che dai semi della vecchia Juve potevano rinascere i germogli di un nuovo ciclo a tinte bianconere. Lo abbiamo capito allora e ancora meglio strada facendo, anche quando qualcuno ci ricordava che c’erano squadre con l’organico più forte (io le sto ancora cercando), anche quando Conte continuava (giustamente) a smorzare gli entusiasmi ricordandoci da dove eravamo venuti (i due ormai celebri settimi posti). Insomma noi a questo scudetto ci abbiamo creduto, fin dalla prima giornata. Siamo così noi juventini, sappiamo fare la differenza.
Così, credo che fra altri dieci anni ricorderò ancora con perfetta lucidità tutti i momenti e le emozioni che ho vissuto domenica sera: il gol di Vucinic, le parole di Buffon che dedica lo scudetto a Camoranesi, Nedved e Trezeguet, gli occhi brillanti di Del Piero che sembrano quelli di un ragazzino che vince il primo torneo alle giovanili, la gioia dei tifosi bianconeri scesi in strada e tutti i messaggi che ho ricevuto dagli amici juventini. Ce n’era anche uno che diceva: “Finalmente si torna alla normalità”. Ecco, la normalità, quanto è bella a volte la normalità.
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