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I cambiamenti climatici potrebbero costarci 44 mila miliardi di dollari

Alluvioni, siccità,  incendi e uragani sono fenomeni sempre più frequenti che raccontano di un pianeta con la febbre. E di quanto questa malattia potrebbe costarci: 44 mila miliardi di dollari entro 2025. I conti li ha fatti Maplecroft   azienda specializzata nell’analisi dei rischi che da sei anni pubblica un Indice di vulnerabilità al cambiamento climatico, che riassume tre indicatori: il livello di esposizione delle aree agli eventi estremi; il grado di sensibilità della popolazione a questi eventi (conflitti, situazione sanitaria, dipendenza dalle risorse naturali) e la capacità di adattarsi ai cambiamenti (governi capaci di gestire le crisi, ecc).

Il risultato è una classifica che oscilla tra un rischio basso ed estremo. Il pil dei 67 paesi più esposti è oggi pari a 15 mila miliardi di dollari, ilo 31 per cento della ricchezza prodotta nel mondo. Ma la quota è destinata ad aumentare del 50 per cento, raggiungendo  in poco più di 10 anni i 44 mila miliardi di dollari,  In sostanza la terra è più fragile proprio laddove è più “produttiva”Questo perché tra le aree più a rischio ci sono le “fabbriche del mondo”, come il Bangladesh, e quelle dove l’economia cresce velocemente e gli investimenti fioccano, come Nigeria, Vietnam, India e Filippine.

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I cambiamenti climatici potrebbero compromettere la produzione petrolifera nigeriana, osservano gli esperti di Maplecroft, visto che le alluvioni dello scorso anno hanno provocato una perdita nella produzione di circa 500 mila barili al giorno. La Cina invece rischia di non essere più in grado di nutrire la sua popolazione, considerato che la zona più fertile del suo vasto territorio è quella  più esposta alle carenze idriche. In India la pressione demografica, soprattutto nelle zone più vulnerabili agli eventi estremi potrebbe esacerbare  i livelli di povertà, facendo deragliare il cammino indiano verso lo sviluppo.
In Europa, nei prossimi 50 anni i cambiamenti climatici più significativi avverranno nelle regioni medterranee, con alti livelli di degrado del suolo e delle risorse idriche. L’Italia ha un rischio abbastanza elevato (insieme a Grecia, Albania, Malta e Montenegro), ma Maplecroft scommette sulla nostra capacità di trovare soluzioni che ci permettano di adattarci al nuovo clima.

L’Intergovernmental Panel on Climate Change , invece, è decisamente meno ottimista. Nel suo ultimo rapporto ha tratteggiato scenari preoccupanti: “molti dei problemi attuali,  fame, malattie, siccità, molto probabilmente peggioreranno”. La gente, sottolinea il rapporto, morirà per alluvioni, innalzamento del livello del mare, carestie causate da scarse precipitazioni e alte temperature. Gli agricoltori falliranno per mancanza d’acqua, le infrastrutture collasseranno per troppa acqua, le ondate di calore peggioreranno e alcuni ecosistemi semplicemente spariranno.

Twitter @FrancaRoiatti

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