Corsa al colle: l'elezione di Giuseppe Saragat (1964)

Due anni. Solo due anni dura il mandato presidenziale di Antonio Segni. Alle 17 e 30 di venerdì sette agosto il Presidente della Repubblica è colto da malore durante un acceso diverbio con Aldo Moro e Giuseppe Saragat.

A dicembre arrivano le dimissioni ufficiali; si può procedere all’elezione del nuovo Capo dello Stato.

La DC si trova sotto il 40% e le premesse fanno presagire che questa volta la corsa al Colle non avrà un lieto fine. La rosa iniziale dei nomi è molto ampia: Giovanni Leone, Amintore Fanfani, Giulio Pastore, Brunetto Bucciarelli Ducci (Presidente della Camera), Paolo Emilio Taviani, Attilio Piccioni, Cesare Merzagora, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e Umberto Terracini. Alla vigilia del voto però i nomi in corsa rimangono soltanto due: Giovanni Leone per i democristiani e Giuseppe Saragat per le sinistre.

Si comincia a votare il 16 dicembre. Nessuno immagina che i Grandi Elettori trascorreranno il Natale a Montecitorio.

Dopo le prime tre votazioni, Leone vede subito crollare i consensi. I cecchini democristiani fanno capire che non sarà una passeggiata per nessuno. All’ottavo scrutinio Saragat comunica di rinunciare alla corsa; la DC, ancora una volta, è spaccata con Fanfani che ottiene 132 voti.

Si arriva al 21 dicembre e lo spettacolo che i Grandi Elettori offrono agli italiani non è dei migliori tanto che il Presidente della Camera rivolge un invito a un maggiore contegno: “Ma rendetevi conto, onorevoli colleghi della solennità del momento”. Nel Transatlantico, però, comincia a serpeggiare la paura: “Questa volta facciamo davvero schifo!” “Che spettacolo diamo al Paese!”

Al 24 dicembre, vigilia di Natale, si arriva con Leone e Nenni a contendersi la presidenza, dopo che Fanfani e Pastore hanno annunciato il loro ritiro. Ma l’esito è ancora lontano dal realizzarsi visto che il nome del democristiano è considerato oramai bruciato e, infatti, la notte di Natale questi è costretto dal partito a ritirarsi. La confusione regna sovrana. Agli occhi degli italiani emerge che a mancare non è la personalità da eleggere, ma la volontà dei partiti di rinunciare alle proprie posizioni a favore del bene comune.

Si vota la sera del 25 con i democristiani che decidono di astenersi. In mattinata Mariano Rumor, su mandato della segreteria DC, incontra alcuni esponenti socialisti, socialdemocratici e repubblicani per annunciare che il principale partito italiano rinuncia a proporre un proprio nome e passa la mano indicando in Saragat un nome su cui poter convergere. I tre partiti, presi in contropiede, si spaccano: i socialisti appoggiano Nenni, i socialdemocratici sostengono Saragat e i repubblicani, da buoni arbitri, ritengono che uno vale l’altro. Lo scrutinio di Santo Stefano è: Nenni 380 e Saragat 311.

La famiglia socialista è divisa. Nella notte tra il 27 e il 28, però, si ricuce lo strappo. Si svolge un incontro tra i due leader con un abbraccio rappacificatore dopo i momenti di tensione che si erano registrati negli ultimi quindici giorni. A questo punto entrano in campo i comunisti che dopo aver sostenuto Nenni, annunciano di voler riversare i propri voti sul leader socialdemocratico.

Per lunedì 28 dicembre le previsioni meteo indicano per la capitale freddo intenso, pioggia e grandine mista a neve. La previsione su Montecitorio è che i socialisti sono intenzionati a rinunciare a Nenni.

Nel pomeriggio i complimenti reciproci si sprecano con Ugo La Malfa che commenta: “Dobbiamo essere contenti che alla fine una linea politica ha trionfato su tutti gli intrighi”. Dopo ventuno votazione, tredici giorni e oltre quaranta ore di seduta i Grandi Elettori eleggono Giuseppe Saragat nuovo Presidente della Repubblica con 646 voti.

Il deputato Covelli tra gli applausi dell’intera Assemblea, si alza e urla: “Viva la Monarchia!”

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