Contributi alla ricerca, la beffa

Non parlategli di pubblica amministrazione. Luciano Miotto, 54 anni, amministratore delegato di Imesa produttrice di lavatrici industriali per lavanderie self service, case di riposo e alberghi fino a 500 letti, con un giro d’affari 2012 di 14 milioni di euro e 92 dipendenti, è categorico: "In Italia la mano pubblica è ovunque e non va bene". Lui ne sta alla larga: zero commesse per la P.A. e poche, pochissime per le aziende made in Italy. "La nostra quota export è pari all’82% ed è il solo motivo per cui abbiamo recuperato i livelli pre-crisi".

I fornitori esteri pagano nei tempi previsti. Roba da fantascienza in Italia. E sempre sul fronte burocrazia incalza: "Abbiamo partecipato a più bandi per la ricerca e l’innovazione. Risultato: zero, o quasi". A quelli con la formula click day il più delle volte non sono riusciti ad accedere in tempo utile e pure quando la richiesta è andata a buon fine a conti fatti la metà dei contributi ricevuti è andati a coprire spese sostenute proprio per ottenere quei soldi. "L’ultimo bando vinto ci ha fruttato 40 mila euro, ma facendo un paio di conti mi sono reso conto che ne avevo spesi 20 mila circa tra consulenti, tempo sprecato e altro per la sola domanda".

E sul fronte banche è categorico: "Finché non ne hai bisogno va tutto bene!". E cita il caso della start-up Asac da lui lanciata per sviluppare schede elettroniche che permettano di tracciare i capi di abbigliamento nelle case di riposo perché la vestaglia X dopo essere stata lavata torni sempre alla nonna X. "Gli assegni che incassiamo vengono accreditati sul conto Asac dopo 7 giorni al pari di un privato" dice. "Mentre per Imesa bastano 24 ore. E quella è pure la mia la banca personale".

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