Contratti precari, perchè Poletti ha ragione

Il contratto a tempo determinato è il perno attorno al quale il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, fa girare la strategia di lotta alla disoccupazione in Italia. Togliendo la causale e permettendo (teoricamente) infiniti rinnovi del contratto, il contratto a tempo determinato diventa, così, la porta d’ingresso principale nel mondo del lavoro. Ma i numeri dicono che è già così.

Il grafico qui sopra riporta gli ultimi dati ufficiali del ministero del Lavoro riguardo ai contratti attivati in Italia dall’inizio del 2012 fino al secondo trimestre del 2013. Doverosa una premessa: i numeri riportati riguardano il numero di contratti attivati e non le persone. Significa che un solo soggetto può avere attivato due contratti nel corso del trimestre e la rilevazione registrerà due contratti, non una persona. A quante persone corrispondano i contratti attivati è il grande mistero del mercato del lavoro italiano. Occorrerebbe elaborare i microdati in possesso dall’Istat (che rileva il numero di occupati e la durata del contratto di ogni persona che compone il panel) incorciandoli con quelli del ministero ed è un lavoro che andrebbe fatto al più presto.

La prima impressione che si ricava dal grafico è che il mercato del lavoro in Italia non è affatto fermo o bloccato come si sarebbe portati a pensare. Ogni trimestre vengono attivati in Italia in media circa 2,5 milioni di contratti di lavoro rispetto a un totale di persone occupate pari, mediamente nel 2013, a 22 milioni e 420mila persone (il picco di occupati in Italia si è raggiounto nel 2008 con 23 milioni e 405mila unità). Certo, le attivazioni sono meno numerose delle cessazioni dei rapporti di lavoro (il confronto sarà oggetto di un prossimo grafico), ma resta il fatto che persone che perdono il lavoro hanno anche una possibilità di trovarlo. Il punto, certo, è la "qualità" del lavoro che si trova. E qui i numeri dicono cose interessanti.

Nel primo trimestre del 2012 sono stati attivati 519mila contratti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai 386mila del secondo trimestre del 2013. Un calo importante dovuto soprattutto all’entrata in vigore, nel luglio del 2012, della riforma Fornero che, puntando a far diventare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato ne ha, invece, sancito il calo provocando un aumento dei contratti a tempo determinato. Il calo dei contratti a tempo indeterminato si nota, infatti, fin dal trimestre successivo l’introduzione della riforma. I contratti temporanei attivati nel primo trimestre del 2012 sono stati 1,6 milioni e sono diventati 1,7 nel secondo trimestre del 2013, in aumento di quasi 200mila unità rispetto al trimestre precedente. Significa, quindi, che già ora (o, meglio, già l’anno scorso, in attesa che vengano rilasciati dati più aggiornati) il contratto a tempo determinato è di gran lunga il modo che le imprese prediligono per assumere personale.

Da questo punto di vista appare piuttosto pretestuosa la polemica che attacca la decisione del ministro Poletti di eliminare la causale al contratto di lavoro a tempo determinato perché questo provocherebbe un innalzamento del lavoro precario a scapito del contratto a tempo indeterminato. Perché quando, con la Fornero, si è tentato, attraverso vincoli e restrizioni, di indurre le imprese ad assumere a tempo determinato, si è ottenuto l’effetto contrario. Si voleva aumentare il numero di contratti a tempo indeterminato e, introducendo ben 270 regole e vincoli in più rispetto a prima, far calare quelli a tempo indeterminato, ma i numeri dicono che non ha funzionato.

La scommessa del ministro è un’altra: incentivare le imprese ad assumere con contratti a termine svuotando di appeal altri tipi di rapporto di lavoro, come, ad esempio, l’apprendistato che nel secondo trimestre del 2013 ha contato per appena 67mila contratti di lavoro. Così come, almeno questa è la speranza, dovrebbero diminuire anche i contratti di collaborazione, che sono stati 149mila tra aprile e giugno dell’anno scorso.

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