Il «pacifismo» opportunista di Conte (e di parte della sinistra)

Mentre tutti i paesi occidentali sono alle prese con l’escalation militare, noi dobbiamo perdere tempo ed energie a gestire l’escalation di Giuseppe Conte. L’avvocato a cinque stelle è come una scheggia impazzita, e sull’aumento delle spese militari l’ultimo abito che ha indossato è quello del kamikaze: dopo di lui, il diluvio. Il risultato è che arriva in aula al Senato il decreto Ucraina e siamo tutti appesi ai Cinque Stelle. Se Draghi metterà la fiducia, come si comporteranno i pentastellati? Si metteranno fuori dal governo, oppure si celebrerà l’ennesimo voltafaccia?

Lo scontro, neanche tanto velato, con Draghi a Palazzo Chigi tradisce la storica antipatia personale di Giuseppi nei confronti del premier, reo di avergli in qualche modo soffiato la poltrona. Dopo 90 minuti di faccia a faccia, pare che l’ex Bce abbia allargato le braccia: “Non ho capito cosa voglia Conte”. Il capo cinque stelle sulle spese militari cerca di riconquistare la ribalta, a costo di retromarce schizofreniche. Più che la campagna militare, al lui interessa la campagna elettorale. Ambizione, protagonismi e vanità: tutti sentimenti umani. Peccato che là fuori si bombarda, e non c’è tempo per manovrine tese a rivangare il proprio orticello. Draghi ha scodellato in faccia a Conte le carte che cantano: con i governi dell’Avvocato del popolo le spese militari sono salite del 17%, un aumento ben più corposo di quello dei governi successivi. Ma non è bastato: il governo resta appeso a un filo. Adesso Conte si atteggia a pacifista perché il partito che lo ha appena riconfermato leader (con numeri discutibili), suo malgrado gli si sta sciogliendo in mano. E dunque, sulla pelle della posizione internazionale del Paese, si sta giocando una partita di bassa lega per tentare di rianimare una creatura cadaverica come i Cinque Stelle. Fratturata tra realisti e idealisti, tra dimaiani e contiani, tra atlantisti e ammiratori dello Zar Vlad, dove convivono allegramente il ministro degli Esteri e l’ex sindaco di Roma Raggi, la quale su internet rilancia la propaganda russa, “i nazisti sono con Kiev”.

Se i Cinque Stelle nel caos rischiano di far affondare l’intero vascello governativo, i primi a venire trascinati sul fondo saranno gli alleati del Pd. Enrico Letta si è legato mani e piedi all’avvocato pugliese, etichettato frettolosamente come “il punto di riferimento dei progressisti”. Come si possa conciliare la posizione del segretario Pd, il primo a mettersi l’elmetto per armare l’Ucraina, con le capriole di Giuseppe Conte, è un mistero che nessuno è in grado di risolvere. Non a caso al Nazareno si respira “altissima preoccupazione” per le mosse impulsive del principale alleato.

Il quadro d’insieme, insomma, è quello di un centrosinistra in grave crisi di identità su questioni fondamentali come il posizionamento internazionale del Paese. Spaccato tra l’opportunismo pacifista di Conte e il partito democratico costretto a fare il pesce in barile: nel mezzo, le scorribande affaristiche di D’Alema con la Colombia. Tramontate le ideologie, riposti in cantina gli ideali, messe sotto il tappeto le idee: ora non restano che le convenienze di breve periodo. Proprio il partito democratico, da sempre autodefinitosi come la forza della responsabilità istituzionale, oggi si trova costretto a tenere per mano compagni di viaggio poco raccomandabili, che per non morire tentano di riesumare il Movimento delle origini, il mito del “vaffa”. Attraversati a tratti da strani sentimenti filo-putiniani (a proposito, perché Beppe Grillo non dice una parola sull’invasione russa?).

Il paradosso finale è che a dettare la linea in parlamento sulla Difesa è l’unico partito d’opposizione, Fratelli d’Italia: con i partiti di governo che si azzuffano tra di loro. Non sappiamo se perderemo la guerra: intanto qualcuno ha già perso la faccia.

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